Crac Cesena calcio e plusvalenze, Lugaresi ai giudici: “Corsa annuale per sistemare il bilancio e poter iscrivere la squadra”

Cesena
  • 28 maggio 2025

Crac dell’Ac Cesena. Ieri in Tribunale a Forlì nell’aula del presidente Marco De Leva (giudici a latere Giorgia Sartoni e Federico Casalboni) è arrivato l’atteso giorno della testimonianza di Giorgio Lugaresi. L’ultimo presidente dell’Ac Cesena prima del fallimento (difeso dall’avvocato Giovanni Majo) non veniva più ascoltato in qualità di indagato o di imputato, vesti nelle quali poteva avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande, ma compariva come testimone, con obbligo di rispondere con la verità ad ogni domanda che gli venisse posta. Sul fronte penale per la stragrande maggioranza la sua posizione si è chiusa in passato con un patteggiamento.

Il fuoco di fila di richieste di chiarimento a Lugaresi da parte del pubblico ministero Francesca Rago è stato presto interrotto e spezzettato dalle contestazioni delle difese (in particolar modo da parte degli avvocati Alessandro Sintucci e Antonella Monteleone). La sintesi dei verbali d’interrogatorio di Lugaresi resi a settembre 2019 quando era ancora indagato, non rispecchiava con la totalità di quanto detto dall’ex presidente nella trascrizione completa dello stesso verbale. E su quelle, più articolate, pagine delle trascrizioni ci si è dunque dovuti basare per spiegare le dinamiche di cui la Procura è da sempre a caccia: quelle che portavano alla formazione di plusvalenze per sanare i bilanci sull’asse tra Cesena e Chievo Verona.

In aula ad ascoltare Lugaresi tra gli imputati erano presenti soltanto l’ex presidente del Chievo Luca Campedelli e l’ex direttore sportivo del Cesena Rino Foschi: «Ad inizio giugno ogni anno la Covisoc “dettava” le linee di come dovessero essere i bilanci per potersi iscrivere al campionato – ha spiegato Lugaresi - e a quel punto le strade potevano essere tre. Contrarre dei mutui e quindi dei debiti infruttiferi per risanare i conti, fare un aumento di capitale chiedendo a tutti i soci di mettere mano al portafogli, oppure fare mercato con i giocatori».

E la via che si perseguiva più volte era proprio questa. La Procura ha chiesto conto a Lugaresi di quando definiva “fittizie” le compravendite sull’asse Cesena-Chievo, non negando gli addebiti che gli venivano contestati in qualità di presidente del Cesena. Non senza fatica per poter entrare nei dettagli delle spiegazioni sull’asse (mai convergente) tra mondo del calcio e giurisprudenza, Lugaresi ha chiarito che far quadrare i conti era un obbligo. Ma che i giocatori giovani da inserire sull’asse Cesena-Chievo erano comunque selezionati tra possibili “prospetti futuri” e non a caso. «Questo perché se si aveva necessità di aumentare un po’ il valore di un atleta per far quadrare i conti, in futuro quegli atleti avrebbero potuto effettivamente aumentare di valore. Ma tutto era finalizzato a poter iscrivere la prima squadra all’anno successivo».

Una situazione ereditata dal passato (gestione Igor Campedelli) che non era ben vista ma che appariva spesso come l’unica soluzione per andare avanti sperando in un futuro (contabile) migliore. «Come avveniva dinamicamente il tutto? Quando si sapeva la cifra che serviva per far quadrare i conti si dava mandato al direttore sportivo Rino Foschi di farlo».

Impossibile per Lugaresi entrare nello specifico prima di suscitare (l’ormai consueta) ira di Rino Foschi che ha interrotto la deposizione di Lugaresi minacciandolo di querele ed urlandogli di dire la verità e di non essere falso. «Io ho sempre portato soldi veri mai plusvalenze, quelle le facevate “voi” anche prima».

Scatti d’ira ormai talmente consueti in aula da parte di Foschi al punto che anche la Corte non ha dovuto faticare per fargli presente che così non avrebbe potuto restare in aula. Pochi secondi all’esterno in compagnia del carabiniere d’udienza e l’ex Ds del Cesena è rientrato, di nuovo calmissimo. In tempo per ascoltare l’ingesso nei dettagli di Lugaresi. «Noi davamo mandato a Foschi, ma il rapporto con i giovanissimi calciatori era in capo all’intera area tecnica e per i giovani quindi a Luigi Piangerelli. Chi decideva le cifre sui contratti stilati, le “bolle” da mandare in lega? Chi dettava le cifre? Non c’era uno schema fisso. Potevamo essere io, Rino Foschi o il direttore generale (Gabriele Valentini, mai imputato, ndr). L’unica cosa era sempre e solo che alla fine si potesse raggiungere la cifra necessaria per proseguire nel cammino societario. Anzi, Foschi con questo schema sull’asse Cesena Verona non era d’accordo mai. Al punto che non so più nemmeno contare quante volte abbia dato le dimissioni dal suo ruolo».

Dinamiche di mercato e di scambi, una volta chiarito con le domande delle difese che quelli tra baby calciatori erano “veri contratti in essere”, sui quali dovranno riferire alla prossima udienza anche gli ultimi due direttori sportivi del Chievo.

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