Consumo di suolo: i giudici “riportano” ad agricolo il comparto di espansione urbanistica di Pievesestina

Il comparto di espansione urbanistica “Pieve 6” è “tornato” ad essere agricolo. Lo ha deciso il Consiglio di Stato dando ragione al Comune ed alla Provincia che anni fa avevano cambiato destinazione d’uso all’area per evitare nuovo consumo di suolo. Amministrazione comunale che si era vista battuta davanti al Tar: con i giudici amministrativi che avevano stoppato la trasformazione ora nuovamente avvallata dal Consiglio di Stato.
Caso annoso
Il duello legale riguarda una variante di salvaguardia datata 2014. La doccia fredda per il Comune di Cesena e per la Provincia per la Variante di salvaguardia messa a punto ai tempi del sindaco Paolo Lucchi, sotto la regia dell’assessore Orazio Moretti, era arrivata nel 2021: quando i giudici restituendo “edificabilità” alla zona tornata agricola del comparto “Pieve 6” avevano potenzialmente aperto la strada ad un maxi risarcimento da dover pagare per le casse pubbliche.
Possibilità edificatoria
Sul piatto il provvedimento amministrativo che nel 2014-2015 cancellò le previsioni urbanistiche edificatorie relative a 128 ettari di aree produttive, ritrasformandole in zone agricole. Nel 2021 la seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale, presieduta dal giudice Giancarlo Mozzarelli, aveva pronunciato una sentenza sfavorevole ai due enti pubblici, a seguito di un ricorso presentato nel 2016 da 8 società: la Cst Engineering, Euroengineering, Progetti Generali, Borgo Paglia, I Tulipani, Tecal, Rosaspina, Residence Sas di Lucchi Germano C. Il “congelamento” dei possibili interventi d’espansione imposto dal Comune su aree di loro proprietà era stato ritenuto non legittimo dai giudici amministrativi di Bologna.
I terreni a Pievesestina
Nel dettaglio i terreni al centro della contesa legale si trovano a Pievesestina e già negli anni ’90 erano stati ritenuti ottimali per ampliare gli insediamenti collocati a nord e a est. Furono perciò classificati nel 1995 come “Comparto polifunzionale” D1 da attuare mediante Pip, destinazione poi confermata nel Prg del 2000. Le società ricorrenti, che sono proprietarie del 40% del comparto (un 50% apparteneva invece alla fallita “Isoldi Spa”), hanno lamentato di non avere potuto attuare le previsioni edificatorie, in quanto non potevano assumere direttamente l’iniziativa per presentare il Pip. Il Comune decise infatti di attribuire il compito di realizzarlo a soggetti terzi: verso la fine degli anni ’90 alla Sapro e poi alla società pubblica-privata di trasformazione urbana Stu “Pieve 6”. Sarebbe toccato a loro acquisire le aree, urbanizzare il comparto e cedere i lotti agli interessati, ma non lo fecero e così si arrivò alla scadenza dei termini previsti per concretizzare quel Piano. Il Comune aveva evidenziato che il cambio di rotta ed il ritorno a zona agricola era dovuto a come le previsioni produttive e residenziali del Prg del 2000 fossero ormai sovradimensionate rispetto alle reali esigenze. È il contesto in cui fu elaborato un documento denominato “Cesena Visione Strategica 2030”, all’insegna della rigenerazione urbana, della riqualificazione delle aree dismesse e del contenimento dello sfruttamento di nuovo suolo.
Consumo di suolo
Al tempo stesso, fu adottata una Variante urbanistica, come la Legge regionale permetteva di fare, per salvaguardare il territorio nel periodo di transizione. Con la possibilità concessa ai proprietari di conservare la destinazione se fossero riusciti a raggiungere un accordo, scongiurando così il ritorno alla destinazione agricola. Questa opportunità, nel caso delle aree in mano alle 8 società in questione a Pievesestina, non fu però colta. Il Tar aveva però accolto il ricorso dei privati, ritenuti danneggiati dal ritorno ad agricolo dei terreni su cui avevano investito urbanisticamente.
Il secondo grado di giudizio
Il Comune si è opposto alla sentenza del Tar ed in questi giorni il Consiglio di Stato a Roma ha rovesciato le carte: con la sentenza del presidente della “Sezione Quarta” Vincenzo Neri (estensore Francesco Gambato, consiglieri Giuseppe Rotondo, Luigi Furno e Rosario Carrano) che ha compensato le spese tra le parti sposando la tesi di Comune e Provincia e facendo così “tornare agricoli” quei terreni. La sentenza poggia sul principio giurisprudenziale per cui le scelte di pianificazione territoriale sono ampiamente discrezionali da parte di Comuni e Province; e sindacabili dal giudice amministrativo di legittimità nei soli casi di “esiti abnormi o manifestamente illogici” e non quindi in una vicenda come quella di Pievesestina.