Cesena, piani per evitare altre alluvioni: il presidente dell’Ordine dei geologi indica la via, gli errori e gli ostacoli

Cesena
  • 27 novembre 2023

«Pensare che l’acqua resti negli attuali alvei, che il nostro attuale sistema fluviale-torrentizio con le sue difese riuscirà a superare i prossimi eventi è una speranza che non possiamo permetterci. Dobbiamo imparare a vivere col concetto di rischio residuo, finora ignorato, e cercare di ridurlo in tutti i modi». È forte e chiaro il monito lanciato dal cesenate Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna, che a più di 6 mesi di distanza dalla disastrosa alluvione che ha colpito la Romagna, invita a riflettere sul futuro. Con avvertimenti tecnici che possono sorprendere i non addetti ai lavori. Per esempio, mentre tanti cittadini chiedono di alzare gli argini, spiega che «occorre ridare spazio ai fiumi in modo significativo e quindi concepire un sistema di difesa diverso». Questo significa, tra le altre cose, «limitare il sistema arginale in altezza per evitare gravi danni da rotture, e integrare e modificare l’uso del suolo e attività produttive in ampi spazi di destinazione fluviale».

Un rebus complicatissimo

Non sarà però facile trovare un punto d’equilibrio - fa notare Antolini - perché «intervenire adeguatamente vorrebbe dire interferire con il tessuto antropico estremamente sviluppato, intervenire sull’economia, sugli interessi dei singoli e dei gruppi, sulle comunità, e sugli equilibri politici. Occorre quindi cercare soluzioni per rompere il meno possibile il tessuto socioeconomico attuale».

Poi c’è il problema non aggirabile delle risorse necessarie. Ne serviranno davvero tante - avvisa il geologo - così come i tempi saranno inevitabilmente lunghi, in quanto nel territorio regionale esistono ben 3.000 km di arginature. La verità è che «servono studi, indagini, modellazioni, interventi con opere, rinaturalizzazioni, e alla fine del percorso ci accorgeremo che non saremo riusciti a raggiungere, in tempi brevi, gli obiettivi desiderati. La manutenzione e la ricostruzione periodica delle opere richiedono risorse ingentissime».

Le cause: «Colpa di tutti»

Dopo avere ricordato che «le grandi civiltà sono nate o si sono estinte a causa di cambiamenti climatici e il clima è stato uno dei fattori che ha spinto a emigrare, nel corso dei millenni, svariate popolazioni da una parte all’altra dell’Eurasia», Antolini non si sottrae neppure a un ragionamento sulle cause di quanto è accaduto il 16 maggio e catastrofi precedenti e probabilmente future. «Come mi diceva una giornalista della tv austriaca, “a noi non interessa il colpevole ma le cause”. E allora ci accorgiamo che questa situazione è figlia di una lunga storia che inizia, in sordina con l’unità d’Italia e prosegue con dei salti dopo la grande guerra e con il boom economico. Nessun politico può permettersi di dire “non è colpa mia”, nessun cittadino che ha beneficiato del diffuso benessere può puntare il dito contro l’altro». E le contromisure non sono state all’altezza: «Il cosiddetto approccio ingegneristico, utilizzato in tutte le regioni indipendentemente dal colore politico, che intendeva gestire il territorio attraverso arginature, difese spondali, briglie, opere in genere, ci ha portato a un sistema della gestione fluviale e territoriale costoso e inadeguato. Continuare su questa strada, guardando gli eventi che si susseguono, non ci rassicura per nulla».

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