Cesena, per i giudici dopo 9 anni quel piano in più è un abuso edilizio: ma forse non verrà demolito

A quasi 10 anni dall’inizio del contenzioso ora il Consiglio di Stato ha deciso. Quell’immobile “è troppo alto”. Almeno tre metri in più di quello che doveva essere. Dopo un lungo tira e molla adesso il Comune ha il “via libera” per l’abbattimento del piano in eccesso. Considerato a tutti gli effetti un abuso edilizio. Ma non è detto che ciò accada. Dalla lettura della sentenza infatti sono iniziati studi specifici per capire cosa fare.
La palazzina al centro della battaglia legale è quella piena di aziende situata all’angolo tra via Togliatti e via Corfù, quasi a fronte della rotonda dei vigili del fuoco per chi la guarda da via Ravennate. Tutto ha avuto inizio quando gli uffici del settore Sviluppo produttivo e residenziale del Comune emisero un’ordinanza di demolizione e ripristino con cui si ingiungeva alla società “Emilia Srl” di demolire l’ultimo piano del fabbricato ad uso commerciale, giudicandolo di troppo rispetto alla sagoma che era stato permesso di realizzare. In soldoni l’edificio giallo doveva essere alto 12 metri. Le verifiche edilizie mostrarono come con l’ultimo piano che lo circonda parzialmente l’altezza totale arrivava a 15 metri. Era il 30 maggio 2014 quando il Comune intimò di abbattere quei tre metri in più. Che costituiscono un sostanzioso corpo di vani ed uffici.
Contro la demolizione era stato presentato un ricorso al Tar, per chiederne l’annullamento, previa sospensiva. Qualche mese più tardi, nell’anno 2015, i giudici amministrativi avevano respinto l’istanza. A quel punto, la proprietà si era rivolta al Consiglio di Stato, che dopo qualche settimana aveva ribaltato in parte la decisione, concedendo la sospensione dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione e ripristino. Il tutto in attesa che l’organo di giustizia amministrativo si potesse esprimere nel merito della questione.
La società “Emilia Srl”, contro cui il Comune si è costituito tramite il responsabile della propria avvocatura, Benedetto Ghezzi (da pochi giorni in pensione) ha sostenuto, assistita dall’avvocato Giorgio Andreucci, che quella costruzione fosse stata avviata avendo in mano i progetti autorizzati e gli oneri di urbanizzazione pagati. Ma in itinere erano cambiate alcune norme urbanistiche che hanno reso illecito ciò che in precedenza era possibile. Insomma, chi costruiva era convinto di agire in modo legittimo e si sentiva tranquillo, mentre chi ha effettuato le verifiche ha riscontrato un’eccessiva altezza della struttura rispetto alle regole allora in vigore e quindi ha contestato l’abuso edilizio. La palla è rimasta in mano ai giudici del Consiglio di Stato fino ai giorni scorsi. Ora è arrivata la decisione: che dà al Comune il via libera per l’abbattimento preventivato.
Il tempo passato ha però cambiato ulteriormente le carte in tavola. Ad oggi, dopo tanti anni, demolire quei tre metri in più d’altezza della palazzina potrebbe irrimediabilmente intaccare e danneggiare anche i 12 metri di stabile sottostanti. Che sono invece stati lecitamente costruiti anche per i giudici. In questo caso dunque si potrebbe evitare la distruzione della parte abusiva per preservare quella che non lo è. Tutto deve passare però da una trattativa tra Comune e costruttori.
Le “scappatoie” per non demolire possono essere molteplici. Pagare ulteriori oneri di urbanizzazione a saldo della volumetria eccedente. Oppure eseguire delle opere a favore del Comune che compensino economicamente il danno dell’abuso edilizio. Terza ed ultima strada ipotizzabile è che la proprietà decida di “regalare” al Comune l’abuso edilizio stesso. Una porzione di immobile di valore che poi l’Amministrazione potrebbe utilizzare a suo piacimento. Tutte soluzioni che andranno studiate dagli uffici tecnici e per le quali una decisione verrà assunta soltanto in futuro.