Cesena, le danze gitane di Calè al Bonci per dire no alla violenza di genere

Violenza e dilagante violenza di genere si controbattono unendo risorse: sanitarie, sociali, forze dell’ordine. Importante è anche la cultura, capace di forgiare mente e pensiero, di radicarsi in un contesto anche umano, storico, sociale. È da tale sinergia che nasce il progetto “Calé, danza, musica e cultura del popolo gitano”, uno spettacolo di danza flamenca che venerdì 26 maggio si accende al Bonci alle 21. Protagonista è un gruppo composito di settanta danzatrici giovani, adulte, più mature, guidate da Mahoú de Castilla, danzatore, coreografo, regista madrileno.
Calé (parola che significa gitano, popolo relegato ai margini dalla società mainstream) ha un fine benefico; il ricavato verrà devoluto al progetto dell’Asl Romagna “Well fare-Rete per le donne” teso in particolare al miglioramento degli ambienti per la cura e l’accoglienza delle donne vittime di violenza, e dei minori. Il fine è anche di «umanizzare le cure», dedicando più tempo a ogni singola paziente sia conversando, sia aiutandola ad aprirsi, sia offrendo una competenza utile al percorso da affrontare per evitare altre violenze. Cosa questa resa possibile da una crescente formazione dei diversi operatori impegnati. In primis però, Calé si propone di sensibilizzare i cittadini al contrasto della violenza di genere.
Tutti i presenti alla conferenza di ieri, hanno espresso l’importanza di estendere la rete il più possibile per contrastare in modo adeguato questa piaga. Ne sono convinte Raffaella Francisconi direttrice di Medicina d’urgenza e Pronto soccorso, e Gilda Sottile coordinatrice delle sale del reparto Ostetricia, che vedono arrivare spesso donne violentate. «Il progetto Well Fare, al di là della raccolta fondi, cerca di costruire insieme una cultura che rispetti appieno la dignità delle persone – dice Francisconi -. I percorsi di aiuto coinvolgono professionisti di varie realtà Asl, dai medici del pronto soccorso a psicologi e consultori. il concetto di rete è di unire diverse figure professionali sanitarie e di altro tipo, forze dell’ordine e comunali».
La coreografia “Calé” nasce all’interno di “Cesena danze”, l’associazione diretta da Ivano Pollini è al suo 50° anno di attività; il danzatore, coreografo, regista Mahoú de Castilla e la danzatrice Diana Gonzales, originari di Madrid pure romagnoli di adozione, portano avanti all’interno la propria compagnia flamenca. La coreografia intende raccontare la “purezza” della cultura gitana nel corso di un anno solare. «Vogliamo rappresentare la tradizione e la cultura gitana – annuncia Mahoú - mostrare le caratteristiche del popolo Calé nel bene e nel male. Per riflettere sul suo passato, sulla storia, perché solo così si possono comprendere i popoli e le culture altre da noi, il flamenco non è solo una successione di passi».
Calè, questa danza gitana in due tempi è scandita dalla musica dal vivo della chitarra di Giulio Cantore, dal canto di José Salguero, dalle percussioni del cajón di Stefano Fabbri. «Trasportiamo il pubblico dentro una comunità gitana nell’arco di un anno, in un insediamento caotico con baracche, ma vitale. La compagnia scandisce, in danza e musica, i principali eventi che si succedono in un anno». Lo spettacolo si apre sul “Natale gitano” e i tipici canti flamenchi; un altro momento è la “Settimana santa” con le processioni dove si fondono sacro e profano; la musica delle marce trionfali che accompagnano le processioni delle icone si unisce al flamenco; musica questa che fonde le culture.
“Il matrimonio” mette in luce una parte negativa della cultura gitana; le nozze di una coppia sono conseguenti a un accordo tra due famiglie che scelgono i propri figli da unire in matrimonio e addirittura in età adolescenziale: «Il matrimonio gitano ci può ricondurre al tema di violenza sulle donne. La ragazzina sposa ha di solito 14, 15 anni, già a 16 è considerata troppo avanti nell’età. Gli sposi si incontrano solo qualche giorno prima». Altro elemento tipico è la “Prova di verginità” praticata da una donna chiamata dalla comunità, con un “fazzoletto”. «Il popolo gitano reputa la verginità della ragazza una sorta di consacrazione del rispetto della famiglia da parte della sposa, diversamente la ragazza verrebbe diseredata e maltrattata». Dopo la “prova” si aprono i festeggiamenti che durano tre giorni. «Cerco di dare risalto all’espressività della ragazzina sposa, alla sua rassegnazione». Dalla festa al “Lutto”, inteso come morte conseguente a una lotta con coltelli, morte che arriva dopo lo scontro tra due amici ubriachi. «Calé, ricordo, è uno spettacolo di 70 donne per aiutare altre donne, in modo anche emozionale».
Nel foyer del teatro, il 26 ci saranno le bambole di stoffa della “Rete di bambole”, Ccon il supporto di Artin Counselling si possono adottare o acquistare (20 euro). Info: 335 7150025.