Cesena, le Cucine popolari si raccontano in un libro e sono pronte a nuove sfide

Una storia di solidarietà e inclusione in cucina e attorno a tavoli apparecchiati. Ma anche una storia che, pur nascendo dal basso, dalla società civile, è “politica”, se è vero, come scrive Maria Elena Baredi, che «nulla è più politico che occuparsi della vita delle persone». A cominciare da quelle più in difficoltà. Tutto questo e molto altro sono le Cucine popolari, che dal 1° marzo 2022 servono pasti, costruiscono ponti tra le persone e abbattono i muri delle disuguaglianze socio-economiche con un servizio che va oltre la mera assistenza materiale, per 5 giorni alla settimana, alternativamente a cena e a pranzo. Ora chi ne è stata l’anima ha raccontato in un libro questa esperienza collettiva e comunitaria, straordinaria nella sua semplicità. Ma anche sofferta, perché l’alluvione del 16 maggio 2023 ha colpito duro i locali in via Machiavelli, accanto al “Don Baronio”, dove chiunque può trovare qualcosa da mangiare e, cosa altrettanto importante, tanto calore umano.
Una storia piena di volti
È stata proprio Baredi a ripercorrere le tappe del cammino fatto, che prima o poi, per proseguire nel migliore dei modi, avrà bisogno di spazi più grandi, perché ormai sono saliti mediamente a ben 130 gli avventori a ogni pasto. Sulle 191 pagine pubblicate da “Il Ponte Vecchio” salta subito all’occhio, guardando le numerose fotografie, che la storia delle Cucine popolari è innanzitutto un insieme di volti e di legami. Quelli dei 200 volontari che a gruppi di dieci (cinque in cucina e altrettanti impegnati nel servizio in sala) hanno reso possibile tutto questo, assieme a una marea di donatori, con in prima fila aziende importanti del territorio che forniscono il cibo. Ma quei volti sono soprattutto di chi si siede a tavola, senza pagare niente se non può permettersi di farlo o contribuendo con offerte libere. Non è un caso che il libro, impreziosito dalla prefazione di Maurizio Martina, vice direttore della Fao ed ex ministro, sia dedicato a Lofti Ahmed, persona senza fissa dimora originario del Marocco, morto a Cesena lo scorso 14 luglio, all’età di 65 anni. Commoventi le parole che accompagnano la sua foto: «Non siamo arrivati in tempo. Aspettava una casa».
Libro presentato oggi
Di tutto questo universo, della sua nascita, pensata nel 2016, dopo avere visto le Cucine popolari fondate a Bologna da Roberto Morgantini, e poi preparata con passione e tenacia da persone come Baredi, autrice del volume, Paola Farneti ed Enzo Cappelletti, primo presidente della realtà nata a Cesena, si parlerà oggi, alle 17.30, in un incontro aperto a tutta la città, al centro sociale “Vivere il tempo” in via San Mauro 653. Un dialogo per riepilogare i risultati raggiunti, le gioie vissute ma anche le difficoltà affrontate, come l’inondazione del Savio, quasi un anno fa. Pochi giorni dopo, precisamente a partire dal 30 maggio la squadra delle Cucine popolari, che sono state quasi completamente sommerse dall’acqua, si rimboccò le maniche, mettendosi a disposizione degli alluvionati e dei soccorritori, sfornando 500 pasti quotidiani al centro sociale “Hobby Terza Età”. Una sorprendente rete di donatori ha poi consentito di ripristinare il servizio nel salone accanto al “Don Baronio”, a partire dallo scorso 1° ottobre.
Idee per il futuro
E il futuro? Con una povertà crescente quell’esperienza si sta rivelando ogni giorno più preziosa e chi la sta coltivando non si accontenta ed è pronto a rilanciare il proprio impegno. Lo fa nella convinzione che «le condizioni di fragilità non devono restare una realtà parallela, quasi clandestina, in città, ma vanno fatte emergere per rendere ciascuno consapevole della loro esistenza e della responsabilità comune per questo stato di cose». Perché «i poveri non sono fantasmi, né oggetto della carità altrui», ma vanno messi a tavola «gomito a gomito con altri settori della società», non solo sfamando chi non ce la fa ma spezzando la sua solitudine ed emarginazione. E al tempo stesso facendo uscire dalla propria bolla chi è più fortunato. Si sta allora già pensando che si potrebbe andare oltre la semplice attività di ristorazione: un domani potrebbero nascere “officine popolari” “cure popolari”, “creatività popolari”. Un futuro tutto da scrivere per fare di Cesena un laboratorio di giustizia sociale.