Cesena, lavoratori in lotta: testimonianze dure da Calisese, donazioni sopra quota 6mila euro


Corre su diversi binari la vertenza che coinvolge i lavoratori in forza a “Sofalegname”, azienda del settore del mobile imbottito in difficoltà, e la società committente “Gruppo 8”. Il primo problema, pressante, è quello degli operai che non ricevono ormai da tre mesi lo stipendio e sono in lotta con picchetti sia nella fabbrica forlivese in via Gramadora, sia in un capannone a Calisese, dove da più di una settimana sono stati spostati semilavorati, per affidarli a lavorazioni di una Srl cinese che nello scorso mese di novembre era finita nei guai per impiego di 20 addetti in nero e sfruttati. Che fosse in corso qualche attività nello stabile in via Cavecchia, nella frazione cesenate, i Sudd Cobas che stanno assistendo i lavoratori sono venuti a saperlo da residenti della zona che sentivano rumori anche di notte provenienti dall’interno e avevano notato strani movimenti di persone. Diversi di quegli stessi abitanti, e non solo loro, stanno mostrando empatia con gli operai che cercano di difendere i loro diritti, a partire da quello di essere retribuiti per il lavoro fatto. Non è un caso che la colletta online lanciata sulla piattaforma gofundme abbia superato già ieri circa 6.300 euro, frutto di più di 125 donazioni. Tra i contributori i più generosi sono stati gli attivisti del gruppo “Forlì Città Aperta”, che hanno versato oltre 700 euro. Ma ci sono stati anche aiuti che molti non si aspettavano. Come quello dell’assessore alla Legalità del Comune di Cesena, Luca Ferrini, che l’altro ieri è stato coinvolto per la prima volta nel Tavolo convocato in Prefettura. Aderente al Pri e con un profilo sempre marcatamente istituzionale, non è di certo tacciabile di essere un movimentista di sinistra vicino ai Cobas, ma anche lui ha voluto dare una mano facendo un bonifico.
Al di là degli aiuti materiali, ci sono però una vicinanza e un interesse da parte di alcuni cittadini che si stanno esprimendo anche nella volontà di conoscere ed ascoltare chi sta protestando. Così, all’esterno del capannone a Calisese, è stata organizzata un’assemblea aperta, preceduta da una cocomerata solidale, dove ci sono state testimonianze forti di lavoratori che hanno spiegato che le tensioni non riguardano solo aspetti salariali o i rischi occupazionali ma condizioni di lavoro ai limiti della schiavitù. «Lavoravo a Prato, nel tessile, per 10-12 ore e 7 giorni su 7, e vivevamo dentro la fabbrica - ha raccontato un operaio di “Sofalegname”, uno dei 45 rimasti rispetto ai 60 all’inizio della crisi e della mobilitazione, 17 dei quali sono attivamente impegnati nei picchetti - Il capo ci ha proposto di andare a lavorare a Forlì, dicendo che ci avrebbero dato anche un appartamento. Invece ci siamo trovati a fare un lavoro più faticoso, sempre per 10-12 ore al giorno e senza giorno di riposo e a vivere ancora dentro al capannone».
Quello che sta accadendo nell’immobile in via Cavecchia continua a essere poco chiaro. Quando è arrivato sul posto il presidio di Sudd Cobas, c’è stato un fuggi fuggi di 10-15 persone che probabilmente stavano lavorando all’interno ed è apparso un cartello su cui era scritto che l’attività era ferma per ferie dall’1 al 31 agosto. Ma ora quel messaggio è sparito e sono stati visti entrare nel capannone e uscirne dopo 12 ore l’imprenditrice cinese che lo gestisce e suo marito, insieme a quattro lavoratori. Una situazione su cui tanti chiedono di fare chiarezza, anche alla luce del precedente poco rassicurante.
Dall’altra parte della barricata, ci sono “Sofalegname”, che ammette di non essere in grado di soddisfare le richieste dei lavoratori per oggettive difficoltà economiche aziendali, e il “Gruppo 8”, che ha scelto una linea rigida, rifiutando persino di partecipare all’ultimo incontro convocato dal prefetto Rinaldo Argentieri. Dichiara infatti di non c’entrare niente con l’attuale vertenza e sostiene di essere vittima di picchetti illegittimi, che ha chiesto di rimuovere con la forza. In realtà, come è stato fatto notare non solo da Sudd Cobas, ci sono pronunce di giudici inequivocabili e consolidate che indicano corresponsabilità di filiera in capo ai committenti in situazioni del genere. Soprattutto quando c’è un appaltatore in monocommittenza, che lavora in locali del committente concessi a titolo oneroso, e quindi di fatto in uno stato di dipendenza assoluta, il collegamento viene considerato evidente, con conseguenti doveri che oltrepassano il ristretto perimetro societario.