Cesena, la moglie lo salva donandogli un rene e lui si regala un figlio e una medaglia mondiale

Nel momento in cui la vita viaggia velocissima, tra adrenalina dei primi successi personali, primo lavoro e nascita di una relazione d’amore, fu costretto a fermarsi a causa di un muro davanti a lui, con le macerie di quanto costruito sin lì e quanto immaginato per il futuro attorno. È lo sfondo della vicenda di Domenico Roberto e della sua famiglia. Una storia di cui fare tesoro più che mai oggi che ricorre la Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti 2025, istituita dal Ministero della Salute.
Calabrese di origine, ex avvocato, oggi impiegato in banca, Domenico Roberto vive a Cesena da oltre vent’anni, è consigliere regionale dell’Associazione italiana donatori organi e vicepresidente del gruppo Aido Savio-Rubicone.
Aveva appena conseguito il diploma di laurea alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna quando venne a Cesena per intraprendere la consueta pratica forense per accedere all’esame e ottenere il titolo di avvocato. Ma in una normale giornata tra i corridoi della casa di riposo “Il Castello” di Longiano, dove prestava servizio di volontariato, fu ripetutamente fermato da medici, infermieri e colleghi, che gli fecero tutti la stessa domanda: «Stai male?». Domenico Roberto ricorda: «Era un periodo bellissimo della mia vita. Avevo 26 anni, ero neolaureato, pieno di energia e pronto a tutto. Anche con i nonni della residenza stavo benissimo, mi divertivo. Fino a quando tutti iniziarono a preoccuparsi della mia salute, perché mi erano comparse delle evidenti macchie nere nelle borse degli occhi: i classici “pestoni”. Qualcuno mi chiedeva se andassi a ballare tutte le notti (ride, ndr), ma un medico, una mattina, decise di misurami la pressione. Quel rilevamento fu determinante: avevo valori molto più alti dei normali parametri».
Dentro il tunnel
Quel segnale lo convinse a sottoporsi a ulteriori controlli. Era ora di fermarsi. «Dopo una serie di accertamenti, nel 2001 mi fu diagnosticata una insufficienza renale cronica. Da lì sono seguiti otto anni di terapia conservativa, esami annuali e diete ferree». E rinunce: «Ho dovuto smettere di giocare a pallavolo, mia grande passione fin dai tempi delle scuole superiori». Un mattone alla volta, quel muro prese forma. «Tra gli accertamenti cui dovevo sottopormi – prosegue Domenico – c’era anche la creatinina. Il referto attestava 255, oltre il doppio del valore di riferimento». L’inizio di un calvario. «Mi sottoposi a una ecografia, che evidenziò una netta riduzione della dimensione dei reni. Seguirono giorni di ricovero, analisi e impostazione di terapia farmacologia adeguata». Fino al punto di non ritorno: «Avevo due possibilità: o entrare in dialisi o effettuare un trapianto di reni».
Iniziò una fase di riflessione: «Non è stato semplice scegliere – confessa –. La dialisi avrebbe significato recarsi tre volte a settimana, per quattro ore, in ospedale per il resto dei miei giorni. Tuttavia, anche il trapianto di reni non sembrava immediata come soluzione. Tra le molte opposizioni alle donazioni e i tempi di attesa superiori ai tre anni, non ne sarei più uscito».
Ed ecco che arrivò il consiglio dei medici: «Secondo loro, una possibile strada percorribile era quella del trapianto da donatore vivente. Mi chiedevo dove mai avrei trovato una persona in salute disposta a donare un rene sano». Una situazione che lo faceva sentire impotente, finché la forza dell’amore non sferrò il colpo decisivo per abbattere il muro.
Il gesto d’amore e la rinascita
«Nel 2009 mia moglie si offrì di sottoporsi all’intervento per donarmi un suo rene. Abbiamo effettuato l’operazione a Modena e dopo una lunga convalescenza sono tornato a vivere. Grazie a lei». Da allora Domenico ha ricostruito la sua vita. E non solo. «Nel 2012 – racconta – siamo anche diventati genitori. A dimostrazione che il trapianto ridà la vita e genera altra vita».
Nuove gioie, ma anche la possibilità di riappropriarsi di ciò che gli viene tolto: «Dopo qualche anno – racconta - navigando su internet mi imbatto nella Nazionale italiana di pallavolo trapiantati e dializzati Aned. Non ci ho pensato due volte: l’ho cercata e ho ripreso a giocare». Come un tempo: «Alzatore, è il mio ruolo fin da giovane». Dall’esordio a Perugia, durante uno dei raduni organizzati per promuovere la donazione di organi, fino alla vittoria della medaglia d’oro ai Mondiali di categoria a Newcastle.
L’impegno con Aido
Oggi Domenico a ricopre anche importanti incarichi all’interno di Aido ed è impegnato nella promozione e sensibilizzazione sul tema.
«In un momento come questo – spiega – in cui le opposizioni al consenso alle donazioni di organi post mortem sono sempre in crescita, il mio impegno è rivolto alle nuove generazioni. Vado nelle scuole e organizzo eventi pubblici per spiegare ai ragazzi l’importanza del donare organi». Non solo. «La mia esperienza – precisa – mi permette anche di sostenere la tesi di molti nefrologi e della letteratura: il trapianto da donatore vivente garantisce migliori prestazioni di quello da donatore defunto».
Al resto penseranno il destino, i sentimenti e la pallavolo.