Cesena, la lettera ignorata e il mancato dna: il caso di Cristina Golinucci resta un mistero

Cesena
  • 18 luglio 2025

«Per me sarà come partecipare al funerale di Cristina. Ormai so che non potrò più riavere le sue ossa, ma questa iniziativa porterà ad avere una vera e propria lapide in suo ricordo. È un passo sulla strada, che non abbandoniamo, per conoscere la verità».

Parole piene di emozione quelle di Marisa Degli Angeli, madre di Cristina Golinucci, la ragazza di Ronta scomparsa a Cesena il 1° settembre 1992. A distanza di 32 anni, la sera del 24 luglio, vigilia di Santa Cristina, l’associazione Penelope Emilia-Romagna scoprirà una stele commemorativa nel giardino del convento dei frati Cappuccini, l’ultimo luogo noto in cui la giovane è stata vista viva.

“Non sappiamo dove gli scomparsi vanno, ma sappiamo dove restano” è la frase incisa sul marmo, tratta dal Piccolo Principe. Sarà affiancata dalla foto di Cristina con lo sguardo rivolto verso Cesena. «Il luogo non è casuale — spiega mamma Marisa — è a due passi da dove Cristina aveva parcheggiato l’auto. Lì deve essere ricordata».

La lettera del 1999

Durante la cerimonia, Marisa Degli Angeli leggerà per la prima volta in pubblico una lettera anonima ricevuta nel 1999, che indicava in modo preciso Emanuel Boke come unico possibile responsabile della scomparsa e morte della figlia.

La missiva — ignorata all’epoca dalle autorità — conteneva dettagli inquietanti e precisi: riferimenti a violenze sessuali avvenute nello stesso periodo e nelle stesse modalità di quelle per cui Boke è stato poi condannato, in Italia e all’estero. L’autore della lettera citava persino una giovane aggredita a Gambettola, in un caso noto solo alle forze dell’ordine.

«La mia avvocata di allora, Carlotta Mattei, portò la lettera agli inquirenti, ma non fu presa in considerazione — racconta Marisa —. Rileggerla oggi significa mostrare come alcune verità potevano emergere già allora, se solo si fosse voluto ascoltare».

La pista conventuale e i misteri

Oggi Emanuel Boke è di nuovo al centro dell’inchiesta. L’uomo, cittadino sudafricano, all’epoca ospite del convento, è stato pluri-condannato per violenze sessuali contro ragazze dell’età di Cristina. È attualmente ricercato a livello internazionale.

Nel 1999, però, la pista che portava al convento venne ostacolata da una catena di ostruzionismi, solo recentemente emersa nelle indagini. Si cercò di allontanare il nome di Cristina dalla zona conventuale, come se non fosse mai entrata.

Eppure, nel 2010 all’interno del convento vennero trovate ossa umane, mai sottoposte a test del Dna, nonostante le segnalazioni di una donna che frequentava il convento e di un ex compagno di stanza di Boke. Entrambi indicarono proprio quel punto come il luogo in cui il sudafricano aveva fatto lavori in muratura. Ma le due cose non vennero mai collegate.

Nel 2022, nuove indagini hanno acquisito documentazione su lavori di scavo fino a 10 metri di profondità eseguiti nel 1992 per il rifacimento dell’impianto idraulico del convento, proprio in direzione di Cesena. Un dettaglio inquietante, anticipato nella lettera anonima del 1999 che Marisa leggerà durante la cerimonia.

Cerimonia per non dimenticare

La stele sarà posata con il pieno consenso del convento, a sottolineare un nuovo atteggiamento di apertura. Alla cerimonia interverranno anche il vescovo Antonio Giuseppe Caiazzo, il sindaco Enzo Lattuca, e rappresentanti dell’associazione Penelope, da sempre impegnata nel sostegno alle famiglie degli scomparsi.

«Cristina non ha una tomba. Questa stele sarà il nostro luogo di memoria», conclude Marisa. Ma sarà anche un punto di partenza per non fermarsi nella ricerca della verità, e nel chiedere giustizia per una giovane mai dimenticata

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