Ottobre 1976. L’associazione di Perugia “Medicina Democratica”, invia una equipe di volontari composta da tre medici, due infermieri, due traduttori e un volontario, per aiutare la popolazione durante la guerra civile in Libano. Tra loro compaiono anche i cesenati Derno Scaioli e Letizia Bagnoli. Quel viaggio verso il porto di Tiro, rivisto a distanza di anni, ha diverse analogie con la “Sumud Flotilla” dei giorni nostri: il sentimento civico, l’intercettamento israeliano in acque internazionali, la popolazione palestinese protagonista. Le vicende degli ultimi mesi in Medio Oriente hanno riaperto cicatrici scolpite nell’animo e nella memoria dei due cesenati, che tra l’ottobre e il novembre del 1976, vissero in prima persona gli orrori della guerra civile.
Cesena, in missione in Libano nel ‘76 al fianco dei civili e dei palestinesi: la “flotilla” ante litteram di due cesenati
Storia
A seguito del Settembre nero in Giordania, la popolazione palestinese fu costretta all’esodo nella zona Nord-Ovest del Libano, «nel 70’ un paese democratico» sottolineano Scaioli e Bagnoli. La svolta del Paese avvenne nel 1975, quando scoppiò la guerra civile. Una guerra scaturita da tensioni politiche tra le comunità confessionali, dal conflitto arabo-israeliano e dall’intervento di potenze quali Siria ed Israele. «Il partito di destra Falangista Libanese non voleva all’interno dello Stato i palestinesi, per contrastare l’alleanza tra i palestinesi stessi e le milizie musulmane di sinistra», raccontano. «In aggiunta – proseguono – la Siria voleva la tutela del Libano, mentre Israele cercava di contrastare l’Olp. Il conflitto fu terribile e in quindici anni di guerra civile persero la vita 150mila persone». Nel 1989, con l’accordo “Intesa Nazionale”, venne disegnato un nuovo equilibrio dei poteri istituzionali libanesi e contemporaneamente riconosciuta la presenza dell’esercito siriano.
Viaggio
«La nostra spedizione umanitaria – spiegano Derno Scaioli e Letizia Bagnoli – fu scaturita da uno spirito internazionalista e dalla voglia di metterci a disposizione della popolazione palestinese e libanese». Proseguono raccontando i due volontari: «Arrivammo all’aeroporto di Cipro, perché quello di Beirut era costantemente bombardato. In macchina raggiungemmo Limassol e da lì salpammo con un peschereccio verso Tiro. In acque Internazionali fummo intercettati dagli israeliani: ci puntavano le mitragliatrici, ci fotografavano, ogni singolo nostro movimento poteva essere mal interpretato. Eravamo convinti di morire lì. Dopo due giorni di viaggio fortunatamente arrivammo vivi a Tiro».
I giorni in Libano
Durante il mese trascorso in Libano, tra i villaggi di Nabathie, Yater, Bint Jbeil e Tiro, l’infermiera Letizia Bagnoli e il volontario Derno Scaioli si sono spesi curando i malati e offrendo un servizio di educazione sanitaria. «Moltissime persone – raccontano – venivano colpite dall’epatite A. Insegnavamo loro come fosse fondamentale bollire l’acqua, cuocere la carne, come prevenire certe malattie e come sistemare i feriti di guerra. La popolazione era affranta, ma allo stesso tempo era incredibile come la vita continuasse. Per spostarci dovevamo farlo con i traduttori e le guardie del corpo per evitare di essere uccisi dalla popolazione stessa, impaurita. Alloggiavamo in una dependance nell’unico spazio neutro di Tiro, la rest house, dove era vietato introdurre armi lunghe. Israele ci monitorava con gli elicotteri. A prestare servizio, era presente con noi anche il giornalista e scrittore Caro Montoja».
Famiglia e media
«All’annuncio della nostra partenza per il Libano – conclude Bagnoli – i miei genitori erano tramortiti. In quei mesi i Tg non facevano altro che parlare della guerra civile. Derno era già stato due volte in Medio Oriente a prestare altri servizi umanitari tra il 72’ e il 73’. Non c’era la possibilità di comunicare con amici e familiari mentre eravamo là. Tornare a casa vivi, il 17 Novembre, dall’aeroporto di Beirut, è stato un miracolo».