Cesena, in centro spuntano chiesa trecentesca con due crani di appestati, fosse da grano usate per secoli e reperti da riempire 32 casse





I lavori in corso a Palazzo Roverella e nell’area attorno regalano affascinanti scoperte archeologiche che illuminano il passato di quella porzione del centro dalla fine del Trecento fino all’inizio del secolo scorso. La più importante, svelata ieri mattina in una serie di visite guidate organizzate dalla Soprintendenza e dal Comune, con oltre 60 persone interessate che si sono ritrovate in piazza Aguselli alle 9, è l’emersione delle fondazioni della vecchia chiesa trecentesca annessa al monastero dello Spirito Santo, preesistente a quella sconsacrata, sottoposta a un intervento nell’ambito del maxi cantiere finanziato dal Pnrr, che dovrà essere chiuso entro giugno 2026.
Tra le testimonianze rinvenute all’interno di quell’antico edificio religioso ce n’èuna che colpisce particolarmente: in un angolo dello spazio dove doveva esserci la cripta, che a un certo punto fu smantellato rimuovendo le sepolture, sono stati individuati due crani, di una donna giovane e di un bambino, morti con ogni probabilità per la peste. A farlo pensare sono tracce di calce rinvenute sui teschi, che all’epoca era abitualmente usata come disinfettante durante le epidemie, per sanificare i luoghi contaminati. In un ambiente vicino, sotto la pavimentazione, sono inoltre venuti alla luce i resti di un’atra decina di persone, tra cui molti bambini.
A due passi da lì, in piazza Aguselli, sono invece emerse tre fosse da grano, che si aggiungono ad altre nove individuate da quando nel 2003 sono iniziati i lavori in zona: furono create alla fine del Trecento, forse per prepararsi ad affrontare con i dovuti approvvigionamenti eventuali nuovi assedi dopo il sacco dei Bretoni. Si tratta di tesori archeologici non infrequenti ma è più unico che raro il ritrovamento di un numero così elevato in superfici così concentrate e aiuta a mettere a fuoco la storia di quella piazza, che non a caso veniva chiamata in dialetto, fino a tempi piuttosto recenti, “la piazeta dal garneli”, e ospitava un vivace mercato di generi alimentari.
Infine, in entrambi i siti indagati dagli archeologi della ditta specializzata “Phoenix” sono stati recuperati anche un’infinità di reperti, soprattutto ceramiche, fino a riempire ben 32 casse. Tra i più significativi, che durante la visita di ieri sono stati esposti in una vetrinetta sul posto, a cura del Gruppo archeologico cesenate, c’è un coccio su cui compare la lettera G, che si presume fosse l’iniziale del nome Galeotto Malatesta, il Signore che fece fiorire Cesena nel Quattrocento.
A guidare i cittadini, che si sono dimostrati molto interessati all’archeologia, come era già stato alcuni giorni fa, quando quasi 200 erano saliti a Borello per ammirare i resti delle fornaci per la produnzione della calce e l’annesso molo fluviale per commercializzarla che sono venuti alla luce là, c’era Romina Pirraglia, funzionaria della Soprintendenza, insieme all’architetto Emanuele Sabbatani, del Comune (presenti anche l’assessore alla Cultura, Camillo Acerbi, e il dirigente del settore Lavori pubblici, Andrea Montanati) e a Melissa Della Casa, archeologa di “Phoenix”.