Cesena, in aula la falsa testimonianza: parla la compagna dell’omicida

Cesena
  • 27 aprile 2024

«Sicuramente lui ricorda male. Gliel’avrò detto quando era già in carcere». Nega la falsa testimonianza nel processo per omicidio premeditato (di cui è accusata) G. G.: la compagna di Giuseppe Di Giacomo, conosciuto nel quartiere dove viveva come “il siciliano”, condannato all’ergastolo per aver ucciso a coltellate il 19 dicembre del 2020 l’odiato vicino di casa Davide Calbucci.

Sono state l’imputata e sua figlia le protagoniste assolute ieri nell’aula del giudice Federico Casalboni: testimoniando e rendendo dichiarazioni sul contesto in cui è nato l’omicidio e sulle ore precedenti lo stesso, con particolare riferimento alla sera precedente. La Procura (pm Dati), la parte civile che difende i parenti di Calbucci (avvocato Alessandro Sintucci) e la difesa della donna (avvocato Antonino Lanza) hanno concentrato le loro attenzioni e fatto parlare le due testimoni soprattutto sulla sera prima dell’omicidio.

Davide Calbucci, ha raccontato durante il processo la sua consorte, aveva fermato la figlia di G. G. per le scale. Le aveva detto di stare attenta, perché lei e sua madre non capivano che mostro avessero in casa. Un uomo pericoloso che aveva da poco molestato un’altra donna al parco.

Al processo per omicidio Di Giacomo aveva chiarito che questo dialogo gli era stato riferito dalla compagna pochi momenti dopo l’accaduto: per l’accusa la molla che ha fatto scattare la premeditazione del delitto avvenuto la mattina seguente al parco Fornace Marzocchi delle Vigne, dove Di Giacomo ha raggiunto Calbucci colpendolo con una raffica di coltellate fino ad ucciderlo. Se da una parte l’omicida ha ripercorso in un modo l’accaduto, dall’altra la sua compagna aveva negato anche durante l’Assise di aver riferito quei dialoghi. Per questo è imputata di falsa testimonianza, con i parenti della vittima che le chiedono un risarcimento danni morali da 40mila euro.

Sia G. G. (che la sera prima dell’omicidio inviò degli sms preoccupati al gestore del condominio Acer dove vivevano tutti) che sua figlia, in aula hanno spiegato come il dialogo avvenuto per le scale non fosse stato in alcun modo riferito a Di Giacomo la sera prima dell’omicidio. Sottolineando come questa sua convinzione sia frutto forse dello stato di confusione mentale in cui versava l’uomo dopo aver ucciso.

Di Giacomo insomma per madre e figlia quei dialoghi potrebbe averli appresi solo una volta che si era già consegnato alla giustizia bussando alla porta del carcere di Forlì, dopo aver ucciso Calbucci. Le dichiarazioni di ieri di madre e figlia hanno esaurito le testimonianze. Ed alla prossima udienza (a maggio) verrà letta la sentenza nei confronti della compagna dell’assassino.

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