Cesena, dallo studioso Sirotti Gaudenzi un sos per l’intelligenza artificiale: «Rischia di manomettere la storia e la cronaca del nostro tempo»
L’intelligenza artificiale può aiutare la ricerca storica, «ma solo se maneggiata con cura». Partendo da questa convinzione mista a preoccupazione, Andrea Sirotti Gaudenzi, avvocato che sta approfondendo l’intricata materia dei rapporti tra il diritto e le nuove tecnologie e appassionato studioso di storia, prova a tracciare «parallelismi tra i falsi storici e le ricostruzioni improbabili del passato e quelle attuali sviluppate dall’Ia». L’obiettivo è «fare luce sui rischi dell’intelligenza artificiale, con riferimento ai cosiddetti sistemi generativi». Se ne parlerà domani, alle 18, nell’aula magna della Biblioteca Malatestiana, in un incontro pubblico che prende le mosse dalla ricerca sul sacco dei Bretoni che nel 1377 massacrarono gran parte della popolazione cesenate. Ne è nato un libro intitolato “L’eccidio di Cesena”, pubblicato da Maretti Editore, e dopo le premiazioni al Salotto del Bancarella e al Festival Art di Spoleto e la riedizione del volume l’autore getta un ponte tra quei tragici fatti e il pericolo che si corre consegnando senza attenzione nelle mani dell’intelligenza artificiale la narrazione della storia e anche della cronaca. «In quell’occasione - spiega Sirotti Gaudenzi - le cronache cercarono di condannare all’oblio la strage, sino a quando ci si rese conto che alcune cronache e la Lettera circolare di Lino Coluccio Salutati fornivano un quadro sufficientemente completo dei tragici eventi».
Il senso del dialogo su “Storia manomessa e oblio: dalle antiche cronache all’era dell’intelligenza artificiale” che Andrea Sirotti Gaudenzi avrà con Paolo Zanfini, direttore scientifico della Malatestiana, viene spiegato così dal relatore: «La storia dell’uomo è caratterizzata dal tentativo di creare macchine in grado di emulare l’uomo. Tra le invenzioni di Erone di Alessandria si ricordano marchingegni meccanici. Sembra che nel secolo XIII il matematico arabo Al-Jazari avesse progettato un meccanismo antropomorfo di eccezionale successo. Si dice che Leonardo da Vinci avesse realizzato un cavaliere meccanico, un automa progettato per la corte sforzesca di Milano. Molte invenzioni reclamizzate come sorprendenti erano in realtà frutto di inganni clamorosi, come quello di Von Kempelen, che spacciava per macchina intelligente in grado di giocare a scacchi un pupazzo all’interno del quale si nascondeva un abile collaboratore. Leibniz, inventando la prima calcolatrice capace di eseguire le quattro operazioni matematiche, realizzò una macchina rivoluzionaria. Nella prima metà del Novecento il matematico britannico Turing pubblicò il saggio “Computing machinery and intelligence”, in cui provocatoriamente si chiese: “Can machines think?”. Oggi c’è chi sostiene che gli algoritmi “intelligenti” siano in grado addirittura di sviluppare una forma di coscienza di sé. Siamo quindi avvolti da sistemi evoluti che rischiano di condizionare le nostre conoscenze, il nostro pensiero critico, la nostra vita. Intelligenze diverse da quella dell’uomo sono teorizzabili, come afferma Thaler, inventore di “Dabus”, un sistema di Ia in grado di realizzare invenzioni. E ci si deve chiedere cosa sia nel concreto l’intelligenza delle macchine, partendo dal presupposto che sono in grado di fornire risposte tutt’altro che scontate. Per parafrasare Thoreau, il rischio oggi è che gli uomini diventino gli strumenti dei loro stessi strumenti: un paradosso inquietante. Il mondo del cognitive computing ha consentito di sviluppare, tramite reti neurali artificiali, sistemi di apprendimento automatico, in cui si è passati dal machine learning (che permette di apprendere dai dati in maniera autonoma, senza fornire istruzioni esplicite, ndr) al deep learning (letteralmente “apprendimento profondo”, ndr). Il machine learning ha prodotto modelli di apprendimento automatico che si ricollegano alla statistica computazionale, per fare predizioni usando strumenti informatici. Il futuro dei rapporti tra l’uomo e questi modelli di apprendimento, in grado di generare risposte, dipende dall’uso che faremo della tecnologia. Se riusciremo a governarla, alimentandola nel modo migliore, riusciremo a trarne giovamento. Se la situazione continuerà a essere quella del caos, allora anche nella ricerca storica l’Ia contribuirà a manomettere la storia e anche le cronache del nostro tempo».