Cesena, da una scatolina con un biglietto riaffiora dopo due secoli la storia dell’albero della libertà

Da un biglietto ingiallito, scritto a mano quasi due secoli fa, scovato dentro una graziosa scatolina conservata in un vecchio armadio, spunta fuori un avvincente e doloroso pezzo di storia di Cesena. Ha come protagonista “l’albero della libertà” che alcuni sovversivi innalzarono in gran segreto, il 30 marzo 1829, in piazza del Popolo, che a quell’epoca si chiamava piazza Maggiore. La curiosità e la tenacia di Elena Zoffoli, che si è imbattuta in quell’oggetto insolito e in un messaggio ancor più strano, ha consentito di ricostruire i fatti nei minimi dettagli. È stato possibile dopo avere scandagliato nel fondo del Tribunale della Sacra Consulta gli atti processuali, dopo che per settimane i carabinieri avevano indagato sull’accaduto, interrogando mezza città. Finché, anche con accuse di omicidio, erano scattate decine di pesanti sentenze di condanna.

Il libro

Proprio grazie a poche parole che furono vergate da uno di quei rivoltosi sbattuti in galera, ha preso via via forma un libro che narra una storia incredibile. Lo ha scritto la stessa Zoffoli, classe 1964 e residente nella località di San Tomaso di Cesena, tecnica di radiologia ma con una cultura sconfinata in ambito umanistico. Sarà presentato sabato 30 marzo nell’aula magna della Biblioteca Malatestiana. Si intitola “L’albero della libertà: storia di una pioppa, di ribelli, clericali e carcerieri”: 130 pagine impreziosite da uno splendido disegno di Fabio Castellani sulla copertina. Alle 16.30, nella stessa data in cui fu innalzato quel simbolo, ma a 195 anni di distanza, l’autrice accompagnerà i presenti in un racconto emozionante anche per il modo in cui è riaffiorato dal passato. Al suo intervento si aggiungeranno quelli della presidente del Consiglio comunale Nicoletta Dall’Ara e di Franco Spazzoli, grande cultore di storia locale.

La scatolina ritrovata

Tutto ha avuto inizio nella prima metà degli anni Settanta del secolo scorso, quando - racconta Elena Zoffoli - «mi capitò di ricevere una piccola eredità e si rese quindi necessario liberare le stanze che erano occupate da questo lascito, compresa una vecchia ed affascinante soffitta dove da tanti anni nessuno entrava, visto lo spesso strato di polvere che si era accumulato. Fra le diverse cose che vi si trovavano c’era un grande armadio grigio un po’ malandato, a sua volta pieno di vecchie scatole. Io bambina e i miei genitori incominciammo ad aprirle una ad una. In alcune erano contenute stampe degli anni trenta del Novecento e disegni a carboncino di fine Ottocento, in altre vecchi ricami. In una trovammo monocoli, portacipria e malconci astucci per il manicure. In mezzo a queste cose c’era anche una piccola scatola rotonda di legno con una curiosa immagine sul coperchio. I colori, in alcuni punti, erano scrostati e alcuni dettagli si vedevano a fatica, perché il colore si era inscurito con gli anni. Tuttavia la scena era facilmente leggibile. Al centro un giovane seminudo, avvolto in un mantello rosso, era proteso con la mano sinistra verso una fanciulla con in mano una lampada ad olio sollevata sopra la testa. Il ragazzo era trattenuto per la mano destra da un vecchio che sembrava emergere da una fossa profonda, mentre un fascio di luce dall’alto colpiva il capo del giovane. Non sembrava una semplice immagine decorativa, ma con un significato simbolico. La curiosità aumentò quando, nell’aprire il coperchio, uscì un piccolo biglietto, ingiallito dagli anni, scritto a mano con inchiostro di china nero». Le parole erano queste: “Scatola regalata dal fratello Nicolò mentre era detenuto nella rocca di Ravaldino in Forlì nell’anno 1829”.

La ricerca

Senza prestarci troppa attenzione, la scatolina e il biglietto furono portati, assieme a tutti gli altri oggetti, a casa dei genitori di Elena Zoffoli e lì sono rimasti, completamente dimenticati, fino all’inizio del 2021, quando in occasione di un lutto familiare quel piccolo scrigno è sbucato di nuovo fuori e ha alimentato la curiosità di scoprire chi fosse quel Nicolò, quale fosse la sua storia e perché si trovasse incarcerato nella rocca di Ravaldino. «Sapevo per certo - racconta Zoffoli - che era un personaggio illustre della città di Cesena, appartenente a una prestigiosa e storica famiglia nobiliare: Nicolò dei marchesi Ghini. Quindi mi sembrava ancora più strana la sua reclusione».

Le prime fasi delle ricerche per capire qualcosa di più sono state in salita. Solo le “Cronache Cesenati” di Mattia Mariani, cuoco di casa Masini, i giornali di Mauro Guidi e di Gioachino Sassi spiegavano a grandi linee che il 30 marzo 1829 fu clandestinamente innalzato nella piazza principale della città “l’albero di libertà”, uno dei simboli più importanti degli ideali rivoluzionari nati in Francia nel 1789. Le visite fatte agli archivi di Stato di Forlì e Cesena non hanno aggiunto molto. Dopo avere recuperato a Gubbio qualche preziosa informazione e avere battuto anche una “pista piemontese”, ecco che tante risposte sono state scovate all’Archivio di Stato di Roma, nel fondo del Tribunale della Sacra Consulta, dove la cesenate ha rinvenuto i risultati degli interrogatori, i verbali compilati dai carabinieri che per settimane indagarono sull’innalzamento dell’albero, i carteggi intercorsi fra la Delegazione pontificia e i governanti di Cesena e gli atti del processo, inclusa la linea di difesa degli imputati.

L’albero della libertà

L’indagine per identificare chi aveva portato quel simbolo di libertà nell’odierna piazza del Popolo - spiega Zoffoli - ebbe origine dalla confessione di uno dei “ribelli”, Lorenzo Zanuccoli. Da lì, passo dopo passo, spulciando circa 4.000 pagine di documenti manoscritti, spesso difficili da decifrare, l’autrice ha ripercorso nel libro le tappe della vicenda. Dopo un paio di anni di lavoro, ne è scaturito un quadro pieno di dettagli, incluse angherie e bassezze di Malaioli, custode della prigione dove Nicolò Ghini restò rinchiuso per quasi un anno e mezzo, a partire dal giugno 1829. «Certe volte ho pensato di essere posseduta dallo spirito di Nicolò Ghini - riferisce sorridendo Zoffoli - Ho continuato ad approfondire le ricerche ben oltre gli aspetti del processo contro il gruppo di insorti liberali di cui faceva parte, scoprendo per esempio che all’interno di Palazzo Ghini teneva anche animali esotici, come una scimmia e un cervo. Era inoltre un grande appassionato di numismatica e archeologia e teneva contatti con esuli a San Marino».

Sui motivi per cui quel pioppo tagliato di nascosto nel viale dell’Osservanza e portato e innalzato in piazza dai contestatori dello Stato Pontificio scatenò una reazione così dura (un gesto simile nel 1823 era passato in sordina), Zoffoli ha un’idea: «Nella stessa notte fu eletto papa Pio VIII. Quello era dunque un momento delicato, perché la sede era vacante. Un guardiano si accorse che qualcuno stava usando le buche attorno alla fontana Masini, già preparate per la Giostra dei cavalieri, per sfidare l’autorità e il governatore della città, Filippo Marini, non digerì». Anche perché i ribelli erano spavaldi: tra i “corpi del reato” (come si direbbe oggi) consultati da Zoffoli al Tribunale della Sacra Consulta, c’era un biglietto pieno di offese e minacce contro le autorità pontifice, da appendere all’albero della libertà.

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