Cesena, Cristina Golinucci: l’avvocata denuncia «depistaggi per non macchiare il convento», la mamma vuole una lapide lì


Trascuratezza, con punte di “sciatteria” nell’incipit di quella che doveva essere un’indagine per una persona scomparsa. Ma anche depistaggi da parte di chi quelle indagini avrebbe potuto e dovuto condurle più rapidamente e in maniera mirata a un delitto. Nell’unica apparente volontà di difendere dalla “macchia” di avere ospitato all’interno del convento dei frati cappuccini chi si è poi rivelato un mostro.
Il sabato dedicato alle giovani generazioni voluto dall’associazione “Penelope” ha reso pubblici nuovi “mattoni” della richiesta che verrà fatta dai legali della famiglia Gollinucci: denunciare per omicidio e occultamento di cadavere il sudafricano Emanuel Boke. I familiari di Cristina ritengono ormai senza ombra di dubbio che sia lui l’unico possibile responsabile della sparizione della 21enne di Ronta, avvenuta l’1 settembre 1992.
Sabato scorso, la presidente di “Penelope Emilia Romagna”, Marisa Degli Angeli, mamma di Cristina Golinucci, la vice presidente di Penelope regionale Paola Pedrelli, l’avvocata Barbara Iannuccelli e la presidente dell’associazione “Crisalide”, Antonella Valletta, hanno dedicato l’intera giornata ai giovani, portando «associazioni legate al dolore» (come le ha definite mamma Marisa parlando di Penelope e di “Crisalide”) e storie di lotta per le persone scomparse e per le donne vittime di violenza, prima all’interno dell’istituto professionale “Versari Macrelli”, dove hanno incontrato una classe terza e una quinta, e poi al Giardino per Cristina di Ronta. Lì una nutrita delegazione di Scout del gruppo Cesena 8, ma anche tanti residenti del quartiere Ravennate, hanno ascoltato le testimonianze di sofferenza e i cammini ancora in corso verso la speranza della verità.
Il j’accuse dell’avvocata
A evidenziare come sia stata ostacolata nel tempo, e fin da subito, la ricerca di Cristina Golinucci, è stata in particolar modo l’avvocata Iannuccelli, che oltre a essere un “avvocato investigativo” è una ex Scout.
«La bussola regalatami da mio padre per orientarmi nei sentieri dello scoutismo l’ho portata con me nei sentieri della vita - ha detto - Anche così ho imparato che la strada da seguire non è quella di abbandonare le persone al proprio dolore ma lavorare per ricomporre, con gli atti a disposizione, i puzzle che portano alla verità. Ormai siamo riusciti a ricostruire e identificare chi per noi è responsabile della scomparsa e della morte di Cristina. Ma dal 2022, quando mi sono avvicinata a Marisa Degli Angeli, per farlo abbiamo dovuto scavare in evidenze che alla mamma di Cristina hanno portato nuove e grandi sofferenze».
Barbara Iannuccelli ha parlato dei suoi studi forensi statunitensi. E di come in Italia le cose vadano diversamente: «Negli Usa, quando qualcuno denuncia una persona scomparsa, si pensa a un omicidio, e si indaga subito per un delitto. Qui no: in Italia prevale l’autodeterminazione costituzionale data a tutti i maggiorenni. Così, di fronte ad una famiglia disperata per la scomparsa di una figlia over 18, si tratta la vicenda come un allontanamento volontario».
Eppure le tracce che portavano a un delitto erano a portata di mano: «La vettura di Cristina posteggiata al convento non è mai stata aperta. Sul cruscotto c’era il contratto di lavoro appena firmato per l’occupazione che avrebbe iniziato il giorno dopo. Può una ragazza che sta per affacciarsi al mondo del lavoro sparire volontariamente? Certo che no:. E invece i primi investigatori dell’epoca scissero nei verbali, riemersi ora dopo anni, che Cristina era di una famiglia povera. Non poteva essere stata sottoposta a sequestro a fini di riscatto. Quindi il suo era un allontanamento volontario».
Quando la scomparsa iniziò a non essere più trattata con leggerezza, erano passate settimane, e ci fu a quel punto chi (è nelle carte e nelle immagini televisive dell’epoca) depistò l’attenzione. «Tra gli investigatori c’era chi frequentava il convento normalmente. E l’idea che si potesse additare colpe al convento per aver ospitato Manuel Boke era forse indigesta. Un’idea da allontanare dall’opinione pubblica. L’attenzione dall’area conventuale quindi è stata volutamente spostata prima sul parcheggio e da lì, per colpa anche di tanti mitomani, è stata allargata a tutta Italia e oltre».
Una lapide su cui piangere
Ma mamma Marisa ha continuato sempre a sostenere che il convento era di certo la tomba di Cristina. Ora, mentre sta per essere depositata la denuncia esplicita contro Emanuel Boke per ricercarlo in tutta Europa, di quella tomba si vorrebbe dare anche un segno tangibile: «Una lapide - sono le parole di mamma Marisa - da apporre nei pressi del convento stesso, per ricordare Cristina e il luogo nel quale, secondo me e secondo le investigazioni, è scomparsa e ha perso la vita».