“Cesena città della pace” ha premiato la resistenza non violenta in Palestina

Cesena
  • 28 febbraio 2025

«Questo premio vuole essere simbolo e suggello inserito nella storia del fatto che Cesena, come comunità, non è disposta a voltarsi dall’altra parte. La resistenza non violenta deve essere per tutti noi un impegno da imitare, come lo striscione che campeggia su palazzo comunale con la scritta “cessate il fuoco”».

L’assessora Giorgia Macrelli ha introdotto così, sintetizzando quello che auspica un impegno comune, il conferimento di ieri pomeriggio a Palazzo del Ridotto del “Premio Cesena Città per la pace” che quest’anno è andato a ‘Youth of Sumud’: associazione formatasi ormai tanti anni fa a sud di Hebron, dove i palestinesi che vi vivono hanno scelto di non reagire alle violenze subite quotidianamente dai coloni israeliani che cercano di “allontanarli”. Ma di “puntare i piedi” senza l’uso delle armi o di forme di lotta violente, per restare nei villaggi che sono stati dei loro padri e dei loro nonni ed in cui ancora loro vivono, sia pur tra mille restrizioni e difficoltà.

A ritirare il premio c’era Hammoudi Hureini: giovane palestinese ed attivista non violento dell’associazione premiata con una pergamena dal Comune al termine di un incontro di due ore in cui anche dal pubblico sono arrivate tante domande per cercare di “capire” le realtà in cui in quella parte di Palestina vivono (sempre più a stento) le persone.

La vice presidente del Centro per la Pace Laura Fabbri, Fabio di Operazione Colomba e Damiano Censi di Mediterranea, introducendo la testimonianza di Hammoudi Hureini hanno descritto l’impegno, da molti anni anche direttamente “il loco” di Operazione Colomba e di Mediterranea, al fianco di Youth of Sumud e dei suoi attivisti.

La cartina geografica che campeggia alle spalle del tavolo dei relatori esplica meglio di qualsiasi altra cosa le modifiche territoriali createsi nel tempo. Dalla post seconda guerra mondiale ad oggi ciò che era pressoché “tutta Palestina” ora è territorio quasi esclusivamente israeliano. E le parti palestinesi sono spesso “isolette” che contengono villaggi “puntinati” all’interno di Israele. Zone diverse di Palestina: dove in parte tutto è sotto il controllo e la gestione palestinese, altro è in zona di controllo “mista”, altro a Palestina sotto totale presidio giuridico israeliano.

«Qui non ci sono confini delineati costituzionalmente - è stato spiegato - Così ogni centimetro di terra può essere pian piano sottratto. Anche solo “semplicemente” abbattendo le case dei palestinesi ed evitando di dare permessi di ricostruzione. L’usufrutto ha una durata bassissima temporale: 3 anni appena. Se si riesce a tenere qualcuno lontano dalla sua terra per tre anni, dunque, quella terra non è più sua ma passa allo Stato».

In uno stillicidio di pressioni e di violenze, a cui Hammoudi Hureini ha assistito fin da piccolo. Gli attivisti sul campo di Operazione Colomba conoscono questo giovane di Youth of Sumud da quando aveva solo 5 anni. Ora è un adulto che lotta... Ma in maniera non violenta: «Come possiamo resistere alla violenza con la non violenza? Me lo ha insegnato mia nonna quando ero piccolo ed è per il sogno di mia nonna di rivedere una Palestina libera che continuo a comportarsi come ho scelto di fare dall’età di 14 anni: senza reagire. Se reagisci a torti e violenze vieni perseguitato, incarcerato, picchiato. E non puoi stare sul territorio a difendere la tua terra. Nel 1999 il mio villaggio si tentò di trasformarlo in Israele. È grazie ai non violenti rimasti impassibili residenti di allora che, ancora vivo nella mia casa dove tornerò domani. In Palestina». Per il pubblico che ascolta è quasi incomprensibile avere la forza di restare “immobili” subendo torti e violenze anche fisiche su se stessi e sulle proprie cose: «Se è perseguibile un modello di due popoli in due Stati? Si tratta di un’idea di pace che significherebbe avere un territorio con dei confini dove ognuno vive bene ed in libertà. Penso che in occidente sia difficile da percepire ma in fondo è semplice: se alla Palestina venisse resa la terra che nella prima metà del secolo scorso, semplicemente Israele non esisterebbe... Noi dobbiamo vivere sotto occupazione ed in un costante regime di “pulizia etnica”. Mirata a toglierci terreno. La mia generazione di Palestinesi ha deciso di restare per combattere senza violenze contro questa apartheid a cui siamo sottoposti. È per questo che il riconoscimento che oggi ricevo a Cesena per me e per il mio popolo importantissimo. Significa che la nostra forma di lotta non è dimenticata e non passa inosservata. Ma anche che voi che siete qui racconterete a casa ad a chi via ascolta una realtà che non viene quasi mai raccontata o capita».

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