Cesena, ambasciatore in Kazakistan per 5 anni: Alberti racconta l’anima nomade e ospitale scoperta nella yurta

Cesena

A volte perdersi in discorsi articolati per raccontare qualcosa potrebbe condurre al baratro della retorica. Meglio essere snelli, sintetici, scorrevoli e diretti. Anche quando ciò che si vuole illustrare è per lo più sconosciuto a chi ascolta. O legge. È quanto ha fatto, con estrema naturalezza, Marco Alberti, cesenate di origine ma “nomade” per vocazione, nel suo ultimo libro. Si intitola “Il Kazakistan in 10 parole” e lo ha presentato ieri sera, al Palazzo del Ridotto, in un incontro pubblico organizzato dal Rotary Club di Cesena.

Nato nel 1972 a Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, dove il padre Arturo, pediatra in pensione di Cesena e fondatore di Avsi, e la madre operavano come volontari, è oggi uno dei principali diplomatici italiani. Entrato nel settore nel 2000, come sottosegretario di Stato agli Affari Esteri con competenza per l’America Latina, ha prestato servizio all’Ufficio politico dell’ambasciata di Italia a Buenos Aires e al Consolato generale di New York. Ex responsabile degli affari internazionali all’Enel, fra il 2021 e il 2025 ha vissuto l’esperienza professionale e di vita che più lo ha segnato: rappresentare l’Italia in Kazakistan. Incarico di ambasciatore che ha ricoperto fino a pochi mesi fa, prima di essere stanziato in Albania.

Il Kazakistan, la sua gente, le sue tradizioni, i colori, i luoghi, il freddo polare e la sua religiosità hanno colpito nel profondo Alberti e la sua famiglia. Come testimoniato fin dai primi capitoli del libro che ha scritto. Dove ha manifestato subito l’intenzione di regalare al lettore l’essenza di un Paese semi sconosciuto.

«Se uno vive qualcosa di bello - ha esordito - sente il bisogno di raccontarlo. In maniera semplice. Ho chiesto a chiunque incontrassi di dirmi una parola che rappresentasse il Paese e attorno ad esse ho cercato di descrivere le esperienze vissute. È il racconto di uno splendido viaggio scritto in viaggio. Nei miei continui spostamenti in aereo all’interno del Kazakistan: da Astana ad Almaty, dalla steppa ai confini con l’Uzbekistan».

Incontri, dialoghi, luoghi, gesti, riti. Tutto racchiuso nella grande eredità lasciata ad Alberti dal popolo kazako: l’umiltà. «Ci siamo ritrovati davanti a un popolo che non ci conosceva - ha spiegato - ma che ci ha voluto bene da subito». È il retaggio di una tradizione millenaria: «Ho voluto approfondire il nomadismo - ha detto Alberti - Sono rimasto tre giorni in una yurta, dove ho conosciuto simboli, tradizioni, cibi e stili di vita. Ho riscoperto il concetto di ospitalità. L’ospite è chi non si conosce. Non è possibile andarsene da una yurta senza essere omaggiati di un regalo. Nella tradizione nomade l’ospite è mandato da Dio e prevale su tutto. Anche se è un nemico». Così, da secoli, in Kazakistan convivono 143 etnie diverse.

Persone, ma anche natura. «Il Kazakistan è una sfida rispettosa tra uomo e natura - ha raccontato - In inverno si scende a 40 gradi sotto zero e il momento più atteso è la festa di primavera fine marzo. Che segna l’inizio dell’anno kazako». Nel mezzo, il vento. «È il protagonista del Kazakistan. Al sud profuma di spezie perché soffia sulla via della Seta; poi troviamo quelli potenti e freddi che innescano bufere di neve. Bisogna capirne il valore. Nella cultura kazaka il vento va rispettato».

Incontri, ambienti, anime, storie, sogni e tradizioni. Questo è viaggiare. Questo è stato il Kazakistan per Marco Alberti. In dieci parole. Perché le emozioni, quelle vere, non richiedono tanti sforzi per essere raccontate.

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