Cesena, a quattro metri di profondità una antica “fabbrica” di calce a Borello

Non solo fornaci, ritrovamenti archeologici non rari, ma un vero e proprio complesso di produzione e commercializzazione di calce, con annesso un molo dove veniva caricata su chiatte e trasportata sul Savio. È quanto emerso a Borello, sotto la regia della Soprintendenza, in uno dei cantieri di Snam per realizzare il metanodotto Sestino-Minerbio. Precisamente nell’area tra via Scanello e via Montevecchio, dove tante persone (esattamente 172 distribuite in 6 turni) hanno sfidato ieri il caldo per partecipare alle visite guidate sul posto, ascoltando dall’archeologa Romina Pirraglia e da altri esperti quanto è stato riportato alla luce a una quota 4 metri sotto il piano di campagna.

Dal Quattrocento

Si tratta di resti di strutture che furono attive dal Quattrocento e probabilmente fino alla fine del Seicento, quando un evento catastrofico, forse un’alluvione del fiume a due passi, o un terremoto o uno smottamento, provocarono la loro distruzione e dismissione. Ora sono destinate a essere di nuovo interrate, ma resteranno integre perché i tubi del gas saranno posizionati a una profondità maggiore. Intanto, è stato comunque ricostruito un pezzo di storia affascinante, e non è la prima volta che succede a Borello, dove c’erano già state tre importanti scoperte archeologiche, ma di epoca romana.

Riemerso a dicembre

Tornando al complesso di produzione e commercio di calce di epoca rinascimentale venuto alla luce in questi mesi, tutto ha avuto inizio nello scorso dicembre, quando una serie di scavi archeologici preventivi ha fatto capire che là sotto poteva esserci qualcosa di interessante. E poco a poco, è stato fatto emergere un sito archeologico che si estende su una superficie di 520 metri quadrati e che è stato possibile datare grazie ad un esame radiometrico al carbonio C14 su legno di roverella e olmo usati in quell’insediamento: risale a un periodo tra il 1441 e il 1638.

Gli archeologi hanno scavato i resti di due delle tre fornaci individuate, dove veniva prodotta la calce (una di 2,80 metri diametro e l’altra di 2,20, con la prima che deve essere crollata per qualche cataclisma, perché è stato trovato un carico di materia prima che non è stato mai utilizzato). Ma la chicca è stato il ritrovamento di porzioni ben visibili di un edificio quadrangolare, di 7 metri per 6,30 di lato. Per un attimo gli archeologi hanno immaginato che potesse essere una torre d’avvisamento collegata ai non lontani castelli di Borello e Roversano, ma si trovava in posizione troppo ribassata per una simile funzione. Via via si è compreso che era un attracco per chiatte, che prese forma in tre fasi edilizie. Nella prima fu creato un ambiente centrale interrato e aperto su un lato e una scala d’accesso sull’altro. Proprio il lato aperto e il fatto che il primo dei cinque gradini sia alto ben un metro fa pensare che fosse un piccolo molo a contatto con l’acqua, collegato al Savio tramite un canale artificiale di cui si sono notate tracce, così come dell’esistenza di una mini banchina per agevolare le operazioni di carico. Successivamente l’edificio fu rialzato, forse in seguito a una piena del fiume, e furono aggiunti altri gradini. Nella fase finale ci fu il rifacimento del muro e venne ricavata una piccola riserva idrica. Quella struttura era lo snodo da dove veniva smerciata la calce prodotta, da commercializzare.

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