Caso Cristina Golinucci, nuove ispezioni: ritrovata una scarpa in zona convento e caccia a Boke in Francia

Manca poco meno di un mese al termine fissato per la proroga di indagini del caso di Cristina Golinucci e sia gli investigatori a servizio della procura della repubblica (coordinata dal pm Laura Brunelli) che la difesa della madre e della sorella della ragazza scomparsa il 1° settembre del 1992 (l’avvocato Barbara Iannucelli in particolare, assieme al presidente di Penelope Nicodemo Gentile) stanno continuando a battere le varie piste aperte, e riaperte di recente, a caccia di tracce della 21enne di Ronta.
Nuove ispezioni
Lontano dalle telecamere gli investigatori delle forze dell’ordine sono tornati nuovamente a setacciare la zona attorno al convento dei frati Cappuccini. Con un focus in particolare puntato ancora sulla villa ottocentesca abbandonata che si trova alle spalle del convento. Era stato il luogo delle prime (nuove) ricerche avviate ormai quasi un anno fa con l’utilizzo anche dei vigili del fuoco per scandagliare i pozzi ed entrare in parti dell’edificio pericolanti; assieme al Georadar per sondare eventuali presenze sospette nelle parti interrate.
Il sandalo
Durante le ricerche sono stati trovati alcuni oggetti ed uno in particolare è stato portato, ad inizio settimana, a casa di mamma Marisa Degli Angeli e mostrato anche alla sorella di Cristina, Stefania Golinucci. Un sandalo abbandonato e molto datato, che evidentemente si riteneva potesse essere appartenuto a Cristina; una scarpa “con tacco” che è stata attentamente vagliata dalle parenti della ragazza, prima di chiarire che non poteva in alcun modo essere stata una scarpa di Cristina.
La zona acquedotto
Le ricerche per ora non sono state avviate nel luogo “ultimo indicato” da nuove testimonianze come potenzialmente a rischio per la vicenda. Ovvero il terreno a fronte del parcheggio del convento, dove ancora in quei giorni erano in corso lavori di movimentazione terra dopo la costruzione di collegamenti tra pozzi acquiferi e acquedotto cittadino.
Gli avvocati di mamma Marisa in queste settimane hanno chiesto conto ai proprietari del terreno e delle pertinenze (allora i lavori furono eseguiti tra Amga e Consorzio di Bonifica) su cosa “le carte” dicano di quelle esecuzioni di cantiere nel periodo dal 1° settembre 1992 e seguenti. Naturalmente non esistono documentazioni fotografiche dell’area e le risposte ottenute dagli avvocati non hanno portato in alcuna maniera ad escludere ciò che anche lo zio di Cristina ricorda perfettamente di quei giorni. Ovvero che ci fossero ancora movimentazioni di terra in atto e che quindi Cristina potrebbe essere stata sepolta lì da chi l’ha uccisa.
Ad ora però ispezioni col Georadar in quella porzione di terreno non ne sono state fatte. Anche perché, a differenza di allora, la zona attorno ai collegamenti dei pozzi è incolta e più difficile da sondare con le strumentazioni attuali rispetto a come era in passato la conformazione (coltivata) del terreno.
Nuovi testimoni
Non sono mancati in questi giorni altri testimoni venuti a galla. Che hanno contattato direttamente i difensori di mamma Marisa. Come un cesenate, che vive nel quartiere Oltresavio e che da sempre segue le vicende narrate anche sulla stampa e legate a Cristina Golinucci e Chiara Bolognesi, altra giovane cesenate trovata morta, per la quale si indaga per capire se ad ucciderla sia stata la mano di qualcuno e non un suicidio come sempre detto in passato.
Si tratta di un cesenate che anche per lavoro conosce bene la morfologia del territorio; ed agli occhi dei legali di Cristina e della sua famiglia ha portato “una suggestione” che mette i brividi. Serve far mente locale e riportare indietro l’orologio del tempo a quando don Ettore, parroco di Ronta, ricevette la chiamata anonima di qualcuno che gli diceva che “Chiara era nel Savio e Cristina nel Tevere”.
Zona San Rocco
Il corpo di Chiara Bolognesi (i cui resti sono stati riesumati l’anno scorso all’inizio di questa nuova inchiesta) di lì a poco venne ritrovato nelle acque del Savio privo di vita. All’epoca i sospetti dei familiari di Cristina Golinucci per quella voce anonima maschile al telefono, si focalizzarono sul fatto che a Roma (proprio lungo le sponde del Tevere) esiste un convento di frati Cappuccini simile a quello cesenate, e dove alcuni frati si erano trasferiti dalla Romagna dopo la scomparsa della Golinucci. Un filone d’indagine che non ebbe mai alcun tipo di riscontro.
Via Tevere e il sospettato
Oggi questo testimone, chiamando i legali di Cristina, fa notare invece come a due passi dalle sponde del Savio a Cesena ci sia “via Tevere”: a non molta distanza dalle sponde del Savio e dalla chiesa di San Rocco. Si tratta di una delle chiese all’epoca frequentate da uno dei principali sospettati (nella nuova inchiesta, e mai indagato) per la morte di Chiara e Cristina. Dove svolgeva anche attività legate a trasmissioni radiofoniche, non lontanissimo anche dal luogo della sua residenza e da dove per l’ultima volta è stata vista viva Chiara Bolognesi, prima di sparire nel nulla per oltre un mese ed essere quindi ritrovata morta.
Don Ettore non c’è più, ed anche se fosse ancora vivo non gli si potrebbe in alcuna maniera chiedere lo “sforzo di memoria” di tornare a ritroso ad una chiamata anonima ricevuta a Ronta nel 1992. Ma la coincidenza di luoghi non può che lasciare sospetti e dubbi inquieti a chi si occupa di cercare tracce della morte di Cristina e Chiara.
Caccia a Boke
Tracce che l’avvocato Barbara Iannuccelli sta continuando a cercare anche all’estero.
Nel corso di quest’ultima indagine è emerso (dalle parole della cuoca di allora del convento) come Manuel Boke, sudafricano da sempre primo sospettato per la scomparsa e morte di Cristina Golinucci, fosse a conoscenza del fatto che una ragazza sarebbe giunta in convento nel primissimo pomeriggio di quel 1° settembre 1992. Boke, fuggito in Francia dopo aver scontato quasi 5 anni di carcere per delle violenze sessuali, non è mai stato rintracciato dalle autorità transalpine che cercano dal 2017 un uomo con le sue caratteristiche e sempre per reati di natura sessuale.
La ricerca è a carico di una persona che si dice nigeriana d’origine e che si chiama Qusit Quame. Una persona che ha le stesse impronte digitali di Manuel Boke e che di Boke ha anche la stessa età anagrafica. Naturalmente l’idea è che sia Boke che una volta approdato in Francia abbia cambiato nome ed identità. Ed i difensori di Cristina Golinucci, di fronte all’immobilismo del governo francese su questa ricerca, si stanno muovendo autonomamente per provare la non facile impresa di rintracciare Boke e metterlo di fronte alle nuove evidenze d’inchiesta, provando se possibile a trascinarlo in un’aula di giustizia anche a distanza di oltre 31 anni.