14 febbraio 2024, 20 anni senza il Pirata. Oggi sul Corriere Romagna l’omaggio a Marco Pantani

Cesena

San Valentino è il giorno degli innamorati. Ma il 14 febbraio per gli appassionati di sport, perché sarebbe riduttivo parlare del solo ciclismo, da 20 anni è anche il giorno di Marco Pantani. E, mai dimenticando che si tratta di un triste anniversario di morte, l’associazione che collega lo scalatore romagnolo al giorno dell’amore è per alcuni lati perfetta. L’amore che l’Italia e il popolo del ciclismo ha riservato a Marco Pantani è stato intenso e puro. Un amore che il popolo giallo ha palesemente dichiarato in ogni occasione: riversandosi sulle strade, incollandosi alla televisione e idolatrandolo come una rock star dopo la morte. Un amore senza condizioni e senza nemmeno la necessità di creare un dualismo per accendere la passione: Coppi ha avuto Bartali, Gimondi si scontrò con il Cannibale, Moser con Saronni, mentre il grande rivale di Pantani è stato essenzialmente lui stesso.

È lecito chiedersi come sia stato possibile che un “semplice” ciclista abbia catalizzato attorno a sé così tante attenzioni e un amore così sconfinato. È impossibile dare una risposta, o meglio, è impossibile dare un’unica risposta perché le ragioni che hanno spinto un popolo a colorarsi di giallo e a sventolare il Jolly Roger (la bandiera dei pirati) sono molteplici. Ma una cosa è certa: Pantani si è fatto amare perché era eccezionalmente forte e dannatamente vero. E poi Marco aveva tantissime caratteristiche che lo rendevano unico e diverso da tutti.

Pantani era quello che non mollava mai. Come quella volta ad Oropa (Giro ‘99) quando ebbe un incidente meccanico ad inizio salita, risalì in sella e come una moto superò 49 ciclisti, andando a vincere in maglia rosa sotto al Santuario. Come quella volta a Val Thorens (Tour ’94), quando cadde, sbatté il ginocchio e voleva ritirarsi dalla Grande Boucle. Fu convinto dai compagni, risalì in sella e diede vita ad una rimonta incredibile che per poco non lo portò alla vittoria. Come quella volta sul Mont Ventoux (Tour 2000), quando si staccò dal gruppo dei migliori ad inizio salita, per poi rientrare, soffrire, staccarsi ancora e poi attaccare in compagnia di Lance Armstrong. E infine, vincere.

Pantani era semplicemente lo scalatore più forte del mondo. Negli anni d’oro, quando la strada si impennava il cesenaticense era semplicemente una sentenza. Aveva un rapporto peso/potenza e una vam (velocità ascensionale media) che gli altri ciclisti potevano semplicemente sognare. Tradotto sulla strada: quando Pantani voleva vincere, vinceva. E fu così che spianò il Mortirolo al Giro ’94 per poi trionfare ad Aprica, bissò il successo all’Alpe d’Huez (95’ e 97’) con record della salita e scrisse una delle pagine leggendarie del ciclismo con l’attacco sul Galibier al Tour ’98. Una cavalcata conclusa a braccia alzate sul traguardo di Les Deux Alpes e con l’ex maglia gialla Ullrich giunta all’arrivo con un distacco abissale di 8’57”.

Pantani era dannatamente rock. La bandana, la sella ricamata, il pantaloncino senza fondello e la meticolosa e millimetrica cura della propria bicicletta. Ogni attacco in salita negli anni d’oro era diventato un autentico rituale: via la bandana, via gli occhiali, via la borraccia e gli ascolti che si impennavano come se quell’improbabile “spogliarello” nascondesse qualcosa di estremamente sexy. E poi, come dimenticare l’assurda e pericolosissima posizione a “uovo” con la quale affrontava le discese nei primi anni da professionista?

Pantani era un autentico “pataca” romagnolo. Fuori dalle tensioni del Giro e del Tour, Marco rappresentava il cuore autentico della Romagna. Giocoso, brillante, sempre predisposto allo scherzo e con la capacità naturale di passare da burlone a capitano deciso e carismatico in appena due sguardi. Rimarranno i travestimenti da pirata, le parrucche colorate e poi quell’improbabile pizzetto giallo sul podio del Tour de France ai Campi Elisi. Un tocco di puro folklore romagnolo nel giorno più importante della sua carriera.

Pantani era un ragazzo come tutti gli altri. Un ragazzo cresciuto nella turistica Cesenatico degli anni ’80, in una famiglia semplice e diventato famoso grazie alle sue gambe e al suo cuore. Ma fuori dalle corse, dalla fama e dai soldi, Marco era rimasto lo stesso ragazzino che scorrazzava in bicicletta sul lungomare. Umile, semplice, sincero, ma pure testardo e cocciutamente orgoglioso. Ma anche estremamente fragile e incapace di distinguere i veri amici dalle schiere di “Gatto e la Volpe” che inseguivano il suo successo e i suoi soldi.

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