Cesena, quartiere di 7mila persone rischia di restare senza medici: l'allarme del Cervese nord

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La presenza dei medici di base a San Giorgio è ridotta ormai al lumicino, con disagi crescenti, soprattutto per gli anziani. Ed è sempre più difficile da reggere la pressione che si scarica sugli unici due professionisti rimasti a presidiare la salute pubblica in un quartiere, il Cervese nord, che conta circa 7.000 residenti e ha una vasta estensione territoriale, con località periferiche e piuttosto isolate, da Bagnile e Gattolino. La mole di lavoro ha assunto dimensioni tali che è diventato difficile riuscire a fissare appuntamenti per sfarsi visitare senza dovere aspettare un paio di settimane. Ma c’è il rischio che il peggio debba ancora arrivare, perché «senza rinforzi, che consentano di ripristinare l’esperienza della medicina di gruppo, che ha funzionato bene per tanti anni, sarà difficile resistere alla tentazione di trasferirsi dove si può lavorare meglio». A parlare è Mario Calò, l’ultimo dei “Mohicani” o quasi, rimasto a difendere la salute dei pazienti della zona. Lo sta facendo nel Centro medico in via San Giorgio 2611, dove garantisce la propria presenza quattro giorni alla settimana, per un totale di 15 ore. Quella è anche la base di Maria Marcinnò, che è presente lì due volte alla settimana, mentre per altre tre giornate opera nell’ambulatorio in via Cattolica, vicino al Ponte Nuovo, in sinergia con altri colleghi. Quando questa professionista ha preso servizio a San Giorgio, gli abitanti si erano illusi di averla a tempo pieno, dopo che erano rimasti orfani della dottoressa Gori, andata in pensione. Così come in precedenza si era guadagnato il meritato riposo lo storico dottor Fabbri, faro di un terzetto completato appunto da Calò, che due volte alla settimana opera anche a Case Finali. Tutti assieme, avevano dato vita a una squadra che riusciva a garantire a San Giorgio un’assistenza sanitaria efficace e per un elevato numero di ore tutti i giorni.

Situazione ormai insostenibile

Ma ora i medici sono rimasti due, Calò e Marcinnò, e non bastano. Nelle scorse settimane - rivela lui - è arrivata dall’Ausl una lettera che va nella direzione contraria all’auspicio di ottenere rinforzi. È un invito, nato dalla cronica carenza di medici di famiglia, a cogliere la possibilità di aumentare del 5% il massimale di assistiti, in caso di ricongiungimenti familiari. Il medico, di origine pugliese ma ben integrato da tempo a San Giorgio, dove si è fatto apprezzare, non si è tirato indietro. Avverte però che non si può andare avanti così, quando si hanno già 1.800 pazienti da seguire. «Nonostante gli accessi all’ambulatorio siano filtrati a causa del Covid, sto facendo mediamente 25-30 visite al giorno», riferisce. Alla lunga, le energie vengono meno. Col pericolo di dovere per forza cercare alternative altrove, lasciando sguarnite zone che invece hanno bisogno di medici come il pane. Possibilmente con una continuità, perché - afferma Calò - «il medico di base è il medico di fiducia, e la fiducia si coltiva negli anni, invecchiando assieme ai pazienti». Tra l’altro, ad alimentare la tentazione di andarsene da quello che sta diventando un posto troppo complicato dove esercitare la professione sono arrivate anche le bollette d’oro. «L’anno scorso siamo schizzati dai precedenti 2.500 a 7.300 euro da pagare per i consumi energetici dello studio medico a San Giorgio - fa sapere Calò - Se si è solamente in due a dovere dividere le spese, una somma del genere diventa pesante». I cittadini di San Giorgio, e più in generale del territorio del Cervese nord, chiedono attenzione e che venga assegnato almeno un medico in più, che resti stabilmente sul territorio. Calò conferma che servirebbero «tre o quattro rinforzi», ma purtroppo si stanno pagando «errori fatti nel passato per mancanza di programmazione e incapacità organizzativa, con i numeri chiusi all’università e limitando l’accesso al percorso formativo per i giovani medici», che richiede almeno tre anni dopo la laurea.

Sos anche dal Quartiere

Sanzio Bissoni, presidente del Quartiere, insiste sull’urgenza di affrontare il problema della carenza di medici in servizio in quel territorio. E dice sconsolato: «Ci cascano le braccia quando segnaliamo quella che è ormai un’emergenza in un settore molto importante e delicato come la sanità e ci sentiamo rispondere che le zone montane sono messe ancora peggio». Prima che arrivasse il Covid - confida - un farmacista del territorio si era dato da fare per provare ad agevolare soluzioni, ma con l’arrivo della pandemia è saltato tutto. «Speriamo che qualcuno abbia fatto come buono proposito per il nuovo anno l’arrivo di nuovi medici», conclude il timoniere del Cervese nord.

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