Dopo avere soggiornato alcuni giorni a Odessa, ascoltando con angoscia dalla camera del suo hotel le esplosioni che hanno sparso sangue e seminato distruzione durante l’attacco con droni russi contro quella città, Piero Pieri ora è a Kiev. Il docente di Letteratura del Dams, ora a riposo, è partito 9 giorni fa dalla sua Cesena, diretto in moto in Ucraina per vedere coi suoi occhi la realtà della guerra e raccontarla. La prima tappa in quella terra martoriata è stata Odessa, che ha lasciato lunedì per raggiungere la capitale. E la prima notte lì è stata altrettanto tesa. O forse sarebbe meglio dire che lo sarebbe stata se il prof-biker 76enne si fosse accorto che era suonata a lungo la sirena che scatta in caso di attacchi missilistici. Ma confida che dormiva troppo profondamente e non se ne è accorto. «L’ho saputo solo di mattina, quando me lo hanno riferito».
Odessa tra bellezza e paura
In attesa di calarsi nella vita a Kiev in tempo di guerra, Pieri racconta le sue impressioni su Odessa, «una città mostruosamente bella, che vive solo di giorno la gaiezza dei suoi viali con i suoi affollati caffè all’aperto». Cita «grandi palazzi ottocenteschi, ricchi di bassorilievi, statue, festoni, per l’ostentazione teatrale del lusso». Ma tutto questo «prima delle 23, ora del coprifuoco, quando Odessa di notte si oscura e il silenzio regna sovrano. Un cupo silenzio, malinconico, che trattiene l’angoscia per l’inaspettato, come missili e droni lanciati da 2.000 km». Prima, invece, «questa città vive la sua placida quotidianità, la stessa quotidianità di tutte le città, con i supermercati aperti, gente che va al lavoro, negozietti che aprono, donne affacciate alla porta di casa. Niente che possa farla sembrare una città bombardata con otto droni e due missili, che hanno causato tre morti e circa trenta feriti». A questo proposito, Pieri aggiunge: «Se i Patriot della contraerea ucraina non avessero prima abbattuto gli otto droni, carichi ciascuno di 50 kg di esplosivo, e un missile, il conto dei morti e dei feriti e degli edifici abbattuti o incendiati sarebbe stato orrendamente più alto».
Da uomo di cultura, il docente segnala che «Derybasiv’ka Street, il viale principale di Odessa, porta il nome del fondatore di questa città, De Ribas, nato a Napoli nel giugno del 1749, figlio del console spagnolo e di un’aristocratica inglese e poi mercenario per conto dell’esercito russo di Caterina II». Non mancano scene inaspettate, come «Harley-Davidson, parcheggiate in bella mostra, con i proprietari in stile dark, alti e tatuati» e «un lungo corteo danzante di Hare Krishna, con il loro gioioso canto religioso esibito in pubblico e i loro sinuosi quanto frenetici movimenti del corpo». Quest’ultima presenza stimola una riflessione: «Forse vogliono rassicurare gli abitanti di Odessa che il dio Krishna veglia su di loro, anche in questo momento di missili e droni mandati da altri cieli a portare lutti e disastri. Ma noi che li osserviamo ci guardiamo negli occhi, come se dopo i bombardamenti questa inusitata gioia di vivere fosse fuori luogo, perché, se è pur vero che siamo nel viale dell’eleganza, tutti parlano sotto voce, spesso hanno sguardi smarriti, volti incupiti, sorridono quando potrebbero ridere oppure ostentano una falsa sicurezza quando fumano nervosamente». E vale anche per le ragazze di Odessa, che – conclude Pieri – «pur esibendo spesso abitini scosciatissimi e labbra miniate di rosso carminio, hanno sui volti il diafano riverbero dell’angoscia, e nei loro sguardi traluce il timore allarmato per un destino crudele che potrebbe assalirti alle spalle in una notte buia».
irreale! Il Prof Pieri ha dato la visione di un popolo ferito ma non battuto che vuole non soccombere alla dolorosa realtà ma vincere una guerra prepotente e ingiusta.