Cesena, omicidio al parco: «Ecco perchè l'ho ucciso»

Cesena

Un odio viscerale verso “tutti i romagnoli”. Ed un attrito infinito con il vicino di casa. Che è stato ucciso perché... «Nel corso della settimana mi aveva ingiuriato di continuo».

Nelle due ore di interrogatorio davanti al pubblico ministero Laura Brunelli (assistito dall’avvocato Filippo Raffaelli) Giuseppe di Giacomo, 65 anni, conosciuto da tutti alle Vigne come “Il siciliano” ha ripercorso le tappe che lo hanno portato ad accoltellare fino alla morte Davide Calbucci, il vicino di casa con cui da anni aveva screzi e che gli amici delle Vigne chiamano con il sopranome di “Tinco”.

Oltre ai “perché” Di Giacomo ha raccontato anche tutta la dinamica di come sono avvenuti i fatti: aprendo uno spaccato di violenza che, dalla ricostruzione dell’assassino, avrebbe avuto quasi i connotati di una fatale casualità.

Il coltello del delitto

«Porto sempre con me nel cestino della bici quel coltello - ha spiegato - perché mi piace raccogliere erbe e radicchi. Così non mi sposto mai senza».

Senza quel coltello da macelleria nel cestino della bici, dunque, difficilmente quella che il 65enne descrive come “l’ennesima lite” sarebbe terminata nel sangue.

Liti futili

Il passato burrascoso tra vicini di casa via Vendemini 197 è stato descritto sia nelle pendenze di cui si è occupata la giustizia (nel 2016 vittima e carnefice si erano contro querelati) che per altre questioni più legate alle logistiche delle loro vite. «I suoi bassotti volevano sempre azzannare il mio cagnolino e Calbucci mi accusava di cose che io non ho mai fatto o detto» ha dettagliato, entrando nel merito anche di mini liti ad esempio per la gestione di spazi comuni del condominio.

Donne e molestie

«Nell’ultima settimana continuava a darmi del molestatore di donne». Stando ai racconti dell’omicida lui e Davide Calbucci si erano incontrati almeno altre tre volte al parco prima del sabato dell’omicidio. «Sia lunedì, che martedì che mercoledì quando ci siam visti al parco coi cani, mi ha affrontato accusandomi di essere un molestatore. Di molestare le donne al parco. Ma non è assolutamente vero».

Nei racconti di Giuseppe Di Giacomo c’è anche quello di accuse mirate di Calbucci: che tra queste donne molestate avrebbe inserito un’altra condomina. «Mi ha detto che l’avevo seguita fino a casa fermandole l’uscio con il piede per cercare di entrare in casa sua».

Che siano liti realmente avvenute o meno starà agli investigatori capirlo. Così come la Scientifica sta già lavorando per chiarire quello che Di Giacomo ha descritto come il momento della morte del suo vicino di casa.

Ammazzato

«Anche oggi ci siamo incrociati. Io ero in bici col mio cane lui col suo al guinzaglio. Ha iniziato ancora ad urlarmi che dovevo smetterla di molestare le donne. A quel punto ho riposto. Mi sono avvicinato dicendogli che non si doveva permettere di insultare davanti a tutti al parco. Lui mi ha aggredito e spinto, ed io sono caduto all’indietro sulla bici che avevo parcheggiato. Dal cestino era saltato fuori il coltello. L’ho impugnato e ho iniziato a colpire fino a quando non l’ho finito».

Odio per i romagnoli

Non ci sono stati momenti di pentimento nelle parole pronunciate all’accusa. Piuttosto Di Giacomo ha lasciato trasparire un vissuto generale ad alta tensione nella terra dove ha scelto di abitare da anni. «In Sicilia “sulla carta” ho una moglie e tre figli. Qui c’è la mia compagna - ha spiegato - ma i romagnoli non mi piacciono. Sono al 60% contadini, gente che capisce poco. Il resto sono pecore... Non ho mai legato con nessuno qui»... Nella Cesena dove abita da tanti anni ma dove non è neppure ufficialmente residente.

Sono servite circa due ore al magistrato per ascoltare il 65enne prima di formalizzare il fermo per omicidio. Di Giacomo, dopo aver colpito ripetutamente con il coltello Davide Calbucci, ha raggiunto con la sua bici il condominio dove i due vivevano a un piano di distanza. Si è cambiato d’abito e si è fatto accompagnare al carcere di Forlì in auto. Dove ha detto di dover essere preso in custodia perché aveva appena commesso un omicidio.

Tra i compiti degli investigatori ed inquirenti, già dopo queste prime parole, emerge la possibilità che in un futuro, almeno processuale, la lucidità e l’odio espresse a parole dopo i fatti di sangue vengano periziate. Per capire se sia un odio da considerarsi determinazione ad uccidere, oppure l’estrema punta di un iceberg di manie persecutorie. Manie di una persona che di certo, nel condominio dove viveva, a Cesena ed in Romagna, faceva anche fatica a far capire bene le sue parole: per l’accento siculo che ancora lo caratterizza marcatamente.

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