Cesena, nuovo ospedale e medicina territoriale i pilastri del futuro

Archivio

È un momento propizio anche per la sanità e a renderlo tale sono certamente le risorse che arrivano dal Pnrr, ma aspettarsi che saranno queste risorse a risolvere tutti i problemi della sanità pubblica in Italia sarebbe un errore. È stato questo uno dei punti fermi del dibattito “La salute al primo posto” promosso dal Pd Cesena e che si è tenuto ieri pomeriggio al cinema Eliseo e a cui hanno partecipato l’assessore regionale alle Politiche per la salute Raffaele Donini, l’ex consulente del ministero della Salute Giovanni Bissoni e la senatrice e vicepresidente della Commisione Igiene e sanità pubblica del Senato Paola Boldrini.

Il nuovo Bufalini

A fare da spunto al dibattito il documento dedicato al tema della sanità che ha elaborato il Pd Cesena, che vede tra le sue premesse la convinzione che «la sanità debba essere pubblica, e che solo così si mette davvero la salute al primo posto» e il ruolo strategico che avrà il nuovo ospedale per Cesena e la Romagna. Secondo il Pd il nuovo ospedale sarà il primo realizzato dopo la pandemia di Covid e dovrà essere flessibile, improntato all’innovazione tecnologica, punto di riferimento per tutta la Romagna. Su questo fronte dal Pnrr sono previsti per l’Emilia Romagna 80 milioni di euro per il rinnovo dei macchinari più vecchi di 5 anni. Ma perché si possa realmente parlare di sanità pubblica, ha sottolineato il sindaco Enzo Lattuca, nei saluti iniziali questa «deve essere finanziata dallo Stato».

Medicina generale da riformare

«In questi 18 mesi di pandemia - è intervenuto Donini - abbiamo imparato che è necessario investire nella sanità, che non bastano piani edilizi, ma che occorre investire nella formazione del capitale umano che lavora nella sanità, in modelli organizzativi innovativi. Abbiamo imparato che territorio e rete ospedaliera devono parlarsi di più e essere più uniti. Abbiamo imparato che va ripensato il ruolo dei medici di medicina generale», e va in questa direzione la proposta di riforma delle Regioni, che propone «un sistema hub and spoke anche nella medicina territoriale e che i medici di medicina generale sottoscrivano un nuovo accordo che prevede che prestino ore di lavoro anche nelle case della salute, lavorando alle dipendenze del distretto sanitario».

Formazione da ripensare

Se la sanità pubblica del futuro passa dal potenziamento della medicina territoriale, «la domiciliarità - fa notare Bissoni - ha bisogno di personale, di professionisti. Se l’obiettivo è rafforzarla non si può non considerare questo aspetto». Un aspetto che richiama con forza il cosiddetto “imbuto formativo”, quello che si crea tra i corsi di laurea in medicina e le scuole di specializzazione, un problema noto da anni ma ignorato troppo a lungo, ha sottolineato Bissoni chiedendo alla politica coraggio. Non si ferma qui Bissoni: «Se dobbiamo prendere in cura una persona non è l’aspetto clinico l’unico da considerare, abbiamo anche una componente sociale. I Comuni avranno le risorse per fare la loro parte? Il fondo nazionale per la non autosufficienza è di 600 milioni di euro, la Regione Emilia Romagna da sola ne ha stanziati 250 milioni, come possono bastare 600 milioni per tutti?». Ma quella delle medicina territoriale è una sfida cruciale, sottolinea, «Abbiamo uno dei livelli di posti letto ospedalieri più bassi d’Europa, perché questo sistema funzioni, bisogna ridurre le ospedalizzazioni e per riuscirci è fondamentale che la medicina territoriale funzioni, altrimenti pagheremo in liste d’attesa che si allungano».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui