Cesena, Mariangela Gualtieri al Bonci con il suo rito sonoro

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È una bella occasione riascoltare, stasera al teatro Bonci di Cesena alle 21, Paesaggio con fratello rotto, trilogia applaudita nel 2005, uno degli affreschi più importanti del Teatro Valdoca realizzato da Cesare Ronconi con la drammaturgia di Mariangela Gualtieri. L’evento, gratuito, nell’ambito di “Ciò che ci rende umani”, omaggia pure la fresca uscita editoriale per Einaudi del libro omonimo. Nel volume si leggono riflessioni di Mariangela, e poi il testo dello spettacolo con note sui personaggi e sull’ambientazione delle tre parti della trilogia (Fango che diventa luce, Canto di ferro, A chi esita); conclude un commento dell’intellettuale Ferdinando Taviani scomparso un anno fa mentre, in quarta di copertina, un pensiero del poeta Milo De Angelis. Va detto che lo spettacolo di stasera non è quello imponente del 2005; è una forma essenziale di Rito sonoro con la voce di Mariangela, la regia di Cesare Ronconi, e immagini del video dello spettacolo di allora realizzato da Simona Diacci Trinity.

Mariangela, lo chiamate “rito sonoro”; cosa dà ritualità a questa messa in scena così scarna rispetto a quella del 2005?

«È un rito perché anche il pubblico è chiamato, col suo ascolto teso, a caricare di intensità le parole. C’è un rimbalzo fra scena e platea, invisibile, che si gioca nella quasi immobilità di ognuno. Ma in quella immobilità, in quel respiro teso, c’è per me la massima partecipazione del pubblico. Si ascolta il finale della Nona sinfonia di Mahler e poco altro, a parte la mia voce».

Al debutto Cesare Ronconi la definì «opera sul collasso del mondo e della lingua, in quanto le parole ormai servono in modo marginale». Lei delle parole fa un punto fermo. Rimane dunque inalterato il senso di allora, alla luce della “marginalità” del nostro parlare che si è forse più evoluto in peggio di ieri?

«Sarà il pubblico a rispondere. Sono curiosa anch’io di vedere se queste parole si sono logorate o se hanno ancora efficacia, energia. Il fatto che un editore attento come Einaudi le pubblichi, fa ben sperare. Le parole di Cesare erano incredibilmente profetiche, tutto è misteriosamente collegato: il paesaggio alla nostra interiorità, il paesaggio sfregiato nella sua generale naturale armonia, la nostra lingua. L’impoverimento di quest’ultima a me sembra effetto e anche causa del disarmonico rapporto fra noi e tutto il resto».

Oggi il “paesaggio” è più o meno “rotto” di prima?

«È senza dubbio più rotto di prima. La cosa sorprendente di questo momento potrebbe essere forse, parafrasando la Morante, un mondo salvato dalle ragazzine. Sono a dir poco sbalordita dal rimprovero che stanno rivolgendo al mondo adulto, e non si tratta più solo di Greta. Si tratta di un movimento unico nella storia umana, in prevalenza guidato al femminile, dove dei cuccioli rimproverano i loro maestri. Se dovessi riscrivere “Paesaggio” penserei soprattutto a loro».

Nel nuovo libro Milo De Angelis parla “di affinità condivisa” con lei e con Teatro Valdoca; lei ha sempre parlato di Milo come di un riferimento. In che cosa lo sente affine?

«Milo è il mio caro e amato maestro. C’è enorme differenza, sul piano dei versi, ma certo c’è una affinità di amori poetici. E poi tante esperienze fatte insieme, dalla scuola di poesia alla quale mi sono formata, diretta da lui e organizzata dal Valdoca, alla mia nascita poetica con Antenata nella sua collana Delos, agli innumerevoli incontri e amicizie comuni».

Come sente che si trasforma la sua poesia «interrogativa più vicina a Leopardi che a Montale, di tremore e di urgenza» a cui accenna De Angelis, rispetto agli accadimenti inaspettati?

«Forse il poeta è uno scorticato e tutto ciò che accade, lo tocca in profondità e lo modifica. Ciò che può fare è cantare la rovina, tenere desti gli animi sulla relazione fra noi e gli altri viventi. Io mi sento sempre un’esordiente, e per di più sono affetta da antistoricismo cronico; così mi pare che nella mia lingua tutto sia sempre al principio, non so indagarne i cambiamenti».

Rivedendo in video la trilogia “Paesaggio con fratello rotto” cosa le viene da pensare a proposito della storia del Teatro Valdoca?

«È stata una storia vittoriosa, e non lo dico sul piano del successo ma su quello della pienezza e della libertà. Abbiamo sempre obbedito ai nostri dettami interiori, e come compagnia teatrale siamo rimasti poveri e senza potere, pagando un prezzo altissimo sul piano del “riconoscimento” e della possibilità di far vedere universalmente il nostro lavoro. Ma la nostra vitalità espressiva è ciò che abbiamo messo in salvo». Ingresso gratuito. Info: 0547 355959

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