Cesena: mancano le famiglie affidatarie per i bimbi in difficoltà
Falle nella rete di sostegno alle persone seguite dai servizi sociali, mancanza di famiglie affidatarie per minori che hanno bisogno e molte leggerezze.
Questi sono le segnalazioni emerse dal racconto di Claudia Farnedi, artista locale, che negli ultimi 3 anni ha seguito un’amica che soffriva di un disturbo bipolare, con una bimba di 7 anni, cercando di sopperire là dove, a suo parere, i servizi non potevano arrivare.
Sostegno agli altri
Secondo il racconto della Farnedi il tutto è iniziato nel 2019, quando l’amica, madre single con una bimba allora di 7 anni, viveva da sola, in una casa popolare e soffriva da tempo di bipolarismo. Seguita dai servizi sociali del Comune ed in cura alla Psichiatria del Bufalini, la donna però era spesso in situazioni di pericolo per se stessa e per la bimba. Questa era in affido da tempo a due persone molto anziane che proprio per l’età avevano rinunciato all’affido. Ed è qui che sorti i problemi.Nonni “adottivi”
«Quando questi nonni adottivi hanno rinunciato all’affido non sono mai stati sostituiti perché il Comune ci ha detto che non avevano trovato nessuna famiglia che potesse prendere la bambina, né nessun tutore o affidatario. Non c’erano più famiglie disponibili. Allora come rete di sostegno a questa donna siamo dovute intervenire noi amiche, per prendere la bimba a scuola, occuparci di lei quando la mamma stava male oppure non prendeva le medicine e soffriva di tutte le conseguenze che una malattia psichica come il bipolarismo porta con sé. Una volta, per esempio era stata portata in pronto soccorso, mi hanno chiamato, come unica persona che poteva occuparsi della bimba. Da lì ho fatto molte segnalazioni del caso sia in Comune che in Psichiatria, persino al sindaco Enzo Lattuca stesso, che mi ha risposto che avrebbe passato il caso ai servizi sociali. Ma la donna era già in carico ai servizi. Il problema è che se lei non andava di sua spontanea volontà in Psichiatria per le cure, loro si limitavano ad una telefonata, oppure quando erano programmati gli appuntamenti coi Servizi lei si faceva trovare pulita, vestita, la casa a posto, ma se arrivavano senza preavviso lei non apriva e loro non potevano fare altro che andarsene. In 10 anni la mia amica ha subito 23 ricoveri coatti, per capire che tipo di situazione lei e sua figlia vivano».Poco dialogo
Quest’incubo, come lo ha definito la Farnedi, è durato 3 anni e quello che più è emerso «È la mancanza di rete fra i vari interlocutori. Nel senso che il medico di base non parla coi servizi sociali, i servizi sociali non parlano con gli altri e così via. La bimba per esempio è mancata da scuola 3 mesi e nessuno ha fatto nulla o sapeva nulla. Non lavorano, a mio parere, in sinergia e quindi la paziente faceva quello che le pareva. Anche sfruttando delle falle di ignoranza su cosa significhi il bipolarismo anche da chi, fuori ambiente medico, è chiamato ad occuparsi della situazione».Alla fine Claudia Farnedi si è rivolta al Garante dell’infanzia di Bologna. «Mi ero anche rivolta ad un’avvocatessa del Centro donna per capire cosa potevo fare ed ero anche andata dalla polizia per sondare se servisse fare una denuncia. Alla fine di questo calvario mi sono rivolta al Garante dell’infanzia di Bologna che ha aperto un fascicolo. Tutto si è risolto quando ho chiamato la famiglia di origine della donna e subito l’Asl (di un’altra Regione, ndr) è intervenuta. Ha fatto un affido temporaneo alla zia, visto che la bimba era in una situazione di pericolo, ed ha preso subito in cura la donna che ora è in psicoterapia obbligata a presentarsi con firma».