Può essere definita la “madre” di tutte le frane che pullulano nella fascia collinare cesenate. Un po’ perché da almeno mezzo secolo crea danni e angosce e un po’ perché sembra quasi impossibile da sconfiggere in modo risolutivo, quello esistente a Montevecchio, località sopra Borello, è diventato quasi l’emblema del dissesto geologico. E in una scheda allegata al Piano di protezione civile aggiornato di recente emerge molto chiaramente perché sia un pericolo che viene tenuto strettamente sotto controllo. Dall’analisi fatta risulta che quella frana minaccia ben 9 case, sette delle quali abitate, dove vivono 18 persone, ma anche attività produttive, per la precisione due capannoni adibiti ad allevamenti avicoli, con una capacità complessiva di 80.000 capi. Incombe inoltre su due strade provinciali di una certa rilevanza, le vie Montevecchio e Gualdo, e sul sottostante fiume Savio. Senza dimenticare che rischia di distruggere una cabina e rete Enel situata a breve distanza.
Controlli con i Gps
Ci sono insomma valide ragioni per preoccuparsi, e infatti il Comune ha installato un sistema di monitoraggio e allertamento sul movimento franoso tramite due rilevatori Gps. Frutto della collaborazione con esperti dell’Università di Bologna, sono entrati in azione nell’estate 2019. In questo momento, non sono stati segnalati pericoli imminenti, ma la necessità di stare sul chi va là è testimoniata anche dal fatto che nella relazione sulla frana di Montevecchio sono espressamente indicate due strutture ricettive dove ospitare sfollati in caso d’emergenza: gli hotel “Letizia” lungo la E45 a Borello e “Best Western” in via Rosoleto.
Disastri da mezzo secolo
Fin dagli anni Settanta, grossi quantitativi di detriti fangosi si mossero, facendo crollare capannoni esistenti in quella zona, dove si lavoravano solfati, che furono utilizzati fin quasi allo scoppio della seconda guerra mondiale. Successivamente quelle strutture furono riutilizzate per fini agricoli o per allevamenti. Alla fine degli anni Settanta furono realizzate briglie in terra argillosa battuta e costipata per contenere colate di argilla. Nel 2005 una di queste costrinse però a realizzare in emergenza un vallo per “dirottare” i detriti verso il fosso e salvare abitazioni alle quali si stavano avvicinando. Nel 2014 e nel 2015, a seguito di piogge intense e persistenti, il movimento franoso si è riattivato e una massa di 100.000 metri cubi di terra e fango ha ricominciato a scendere verso le case. Alla fine, consolidamenti del versante eseguiti dalla Regione e dal Comune hanno permesso di preservare le abitazioni, le strade e le linee elettriche ai piedi dell’altura di Montevecchio.
Fase di tregua
Ma non si possono ancora e forse non si potranno dormire mai sonni tranquilli. La situazione resta costantemente sotto attenta osservazione con l’aiuto del sistema satellitare attivato nel 2019. Nella fase attuale il responso è comunque rassicurante: «L’ammasso detritico – si legge nella scheda dedicata alla frana di Montevecchio – ha raggiunto un buon grado di equilibrio, con spostamenti del terreno quasi impercettibili».