Cesena, il missionario racconta i frutti di una vita in Africa al servizio dei più deboli

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Realizzare se stessi non significa solo diventare famosi. Per tanti significa dedicarsi anche a coloro che niente hanno e che nulla o poco sanno delle possibilità che offre il mondo, per metterli nella condizione di poter vivere meglio, per sé e per coloro che verranno. Questa è stata la “mission” del missionario laico Bruno Fusconi, classe 1933, cesenate di Porta Trova, parrocchia di San Bartolo, infanzia tra via Cavalcavia e via Europa, un’attività imprenditoriale in via Curiel (officina di ricambi). Eppure a questa vita dignitosa ha preferito quella missionaria nel nome del “grande albero”. «Quando da ragazzino leggevo le riviste missionarie mi colpiva l’immagine del grande albero sotto al quale i missionari facevano catechismo. Cinquant’anni dopo, andando in Africa, ho avuto l’occasione di essere io stesso il missionario sotto l’alberone». Così, oggi che ha un’età in cui si fanno anche bilanci, Fusconi ha dato alle stampe il libro “Il grande albero” (editrice “Stilgraf”). Il volume verrà presentato domani alle 18, al palazzo del Ridotto, accompagnato da una mostra artistica, e dato in omaggio ai presenti. È atteso anche il vescovo Douglas Regattieri, mentre sarà il giornalista Francesco Zanotti a condurre l’incontro. Il volume racconta di una storia di vita e di un’esperienza vastissima, cominciata negli anni Settanta e proseguita fino al sorgere della pandemia, in terre lontane di Africa e sud America, dove davvero non c’era nulla. Nel 2000 si ammalò pure di Tbc in Africa. La sua fu una scelta anche inaspettata per un giovane repubblicano, che a 25 anni decise di entrare in seminario, ma lo ha spinto con convinzione ad agire per i poveri, e ha trovato un mentore nel padre missionario Tarcisio Rossi di San Carlo. Fra i paesi in cui Fusconi si è adoperato per molti mesi dell’anno, la missione a Gambo in Etiopia è stata forse quella che porta più nel cuore, perché ha dato opportunità laddove mancava tutto. «Eravamo praticamente nella foresta - ricorda Bruno - La gente viveva in modo primitivo, in capanne, non c’era terra da lavorare, né artigianato. Con la missione quella comunità ha fatto un grande salto in avanti, perché ha portato scuola, ospedale, lavoro». Da Gambo a Neghelli, a Meki in Etiopia, al Kenya di Wajir, al Mozambico di Mocubela, fino a paesi di Caquetà in Colombia, al Venezuela e Brasile, il viaggio missionario ha lasciato segni indelebili, ospedali e lebbrosari, attività lavorative per la comunità. La scuola è stata un fiore all’occhiello: «Dalla nostra missione africana sono usciti tanti diplomati. Da noi si studia fino all’8ª classe, chi merita lo portiamo fino alla 10°. I migliori li aiutiamo per l’università. Abbiamo creato un villaggio chiamato “La città dei ragazzi”, una casa famiglia per 445 ragazzi. Non tutti sanno che il primo presidente del Kenya indipendente, Jomo Kenyatta (1889-1978), studiò agli inizi in una nostra missione». Il libro vuole essere pure un documento di una lunga storia di evoluzione: «Spero possa rivelarsi anche una sorta di archivio; descrive opere lasciate in luoghi come Gambo, dove non c’era nulla e tanto meno di documentato. È importante sapere che quella goccia, che secondo molti è un niente, genera e continua a creare». Nei suoi 50 anni faticosi quanto esaltanti, «dove si finiva spesso fuori strada perché non era segnata la strada», Fusconi ha potuto avvalersi di contributi di molti privati: «La gente si fidava perché portavo i soldi direttamente. La svalutazione era lenta e il cambio ci favoriva, da parte mia ho sempre rendicontato tutto».

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