Cesena e l'illusione dei play-off: credere speciale una storia normale

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“Questi siamo”. Viene in mente la massima immortale di Manolo Pestrin quando commentava le cadute più rumorose della sua squadra.

“Questi siamo”. Una sintesi alla Giuseppe Ungaretti di un tipo di mediano che della poesia di Ungaretti aveva poco, visto che Pestrin era più un incrocio tra lo spirito romantico di Ugo Foscolo e lo stile di vita a grana grossa di Gennaro Gattuso.

Questi sono. E hanno perso rumorosamente. Due anni ad aspettare il vero ritorno della gente al Manuzzi dopo gli spalti vuoti del Covid, poi quando la gente è tornata, non c’era il Cesena. Il Monopoli era alla quarta partita in 12 giorni, eppure andava più forte e ha corso attorno a una squadra che non ha lottato, precaria nelle gambe e fragile nella testa.

Questi sono. E ogni volta che toccava davvero al Cesena, il Cesena ha bucato. A testa sgombra e gambe fresche, ha raccolto 39 punti all’andata, un capitale eccellente. Nel ritorno, di punti ne ha fatti 11 di meno, le gambe sono appassite, sono iniziate le difficoltà. E cosa fai nelle difficoltà? Ti giri e cerchi i leader in campo, ma i leader non c’erano. Non lo sono i sopravvalutati Ardizzone, Gonnelli e Caturano, non lo è mai stato Missiroli, non lo è Nardi, che da buon portiere di C risalirà da un tipo di agghiaccianti errori che commette anche Donnarumma. Già, la costruzione dal basso. Ma è davvero obbligatorio copiare tutte le mode che nascono da Guardiola in giù? Poi saremo anche un popolo di caproni, ma per come si intende il calcio a Cesena, lo schema “mezzala che passa indietro al portiere e inizia l’azione” è gradevole come la frase “Bologna in vantaggio”.

Questi sono. E Viali non avrà difficoltà a trovare una buona squadra di Serie C dopo il migliore campionato della sua carriera. Però il suo non è il calcio di Cesena, a partire dalle gerarchie che ha scelto. Ha allenato uno spogliatoio più che una squadra, gestore fino alla fine. Si è affidato allo spasimo a presunti uomini di personalità che se non giocavano si lamentavano e facevano facce storte ai cambi. Li ha fatti giocare e non creavano problemi a lui, però dovevano anche risolvere problemi in campo e non lo hanno fatto. La crescita di Berti è stata sepolta dai minuti in campo di Ilari e Ardizzone. È un graffio sulla lavagna, ma ripetiamolo: la crescita di Berti è stata sepolta dai minuti in campo di Ilari e Ardizzone. Un Calderoni a fine corsa ha scavalcato Favale, Candela non ha visto il campo ai play-off. Questo non è il calcio di Cesena, dove c’è tutto un mondo che tifa per un certo tipo di percorso dei giovani. Per rimettere in moto la squadra, a suo tempo Cavasin fece fuori due grandi giocatori a fine corsa come Gadda e Agostini e la squadra si mise a correre. Quest’anno zero scelte forti, solo tanta gestione.

Questi sono. E sono arrivati terzi in campionato, dietro a squadre come Modena e Reggiana costate il triplo. Potevano fare meglio nella stagione regolare? Probabilmente no, anche se il Cesena non ha mai vinto un campionato spendendo più di tutti, nemmeno in D. Potevano fare meglio nei play-off? Certo che sì, per esempio potevano giocarli. Il terzo posto era un trampolino su cui investire, non una medaglia da mettere al petto per compiacersi, perché siamo pur sempre a Cesena e non si può essere ambiziosi a giorni alterni. Resterà negli almanacchi Cesena-Carrarese 6-0, come no, ma negli ultimi 12 mesi le due partite che contavano davvero erano Cesena-Matelica 2-3 e Cesena-Monopoli 0-3 e sono state bucate in casa, svuotando uno stadio illuso ancora dalla magia dei play-off, quella magia che ti fa credere speciale una storia normale (questa non è di Pestrin, ma di Guccini).

Questi sono. E non hanno giocato la gara di ritorno dei play-off, lasciando il ricordo di una squadra che quando contava davvero, aveva più paura di perdere che voglia di vincere. E infatti perdeva.

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