«Dopo una giornata passata a camminare per il centro di Odessa, facendo foto a palazzi di mostruosa bellezza ma anche alla gente e ai manifesti patriottici, a sera tardi sto per andare a letto. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, per così dire. Ore 23.45. All’improvviso, da qualche parte arrivano minacciosi scoppi di bombe, echi di cannonate a ripetizione. Le esplosioni sono sempre più impetuose e ravvicinate. Vado alla finestra, in questa notte buia. La città ha spento tutte le luci, c’è il coprifuoco dalle 23. Questo è il mio primo contatto con la guerra nella forma della distruzione che viene dal cielo». Inizia così il racconto da brividi di Piero Pieri, docente universitario di Letteratura del Dams di Bologna, ora a riposo dal lavoro. Alla bella età di 76 anni, ha deciso di fare un viaggio in moto dalla sua Cesena in Ucraina per guardare da vicino il volto di un Paese in guerra. Partito una settimana fa, è arrivato a Odessa giovedì. E l’altra notte ha assaggiato “in diretta” l’orrore della guerra, a seguito di un attacco russo sferrato con droni sulla città dove sta soggiornando. Un attacco che è costato la vita a tre persone e ne ha ferite una trentina.
Lunghi minuti di terrore in hotel
Il racconto dell’accaduto che Pieri fa dall’albergo dove stava per prendere sonno, il “Bortoli by Ribas” al numero 19 di Torhova Street, è vivida e drammatica: «Sembra una successione di tuoni che preparano la tempesta, invece si tratta di uno scontro fra missili e droni che arrivano mentre la contraerea risponde all’attacco. Altri fragori non sono distinguibili, sembra una ferraglia che violenta il cielo. In hotel, nel corridoio una donna urla e piange. Altri parlano con voce concitata. Mi aspetto che una sirena dica agli abitanti di Odessa di andare nei rifugi. Ma Odessa ha i rifugi? Alla reception nessuno mi ha detto niente. Forse, dopo i pesanti bombardamenti del 2022, la situazione si è normalizzata. Non è più una città così interessante per le strategie belliche dell’esercito russo. Non stanotte, però: l’eco delle bombe non è lontana, per l’intensità dei boati sembra piuttosto vicina, ma vicina quanto, mi chiedo? A finestra spalancata ascolto, cerco con l’udito di decodificare il perimetro di questo campo di battaglia che ha fatto del cielo il suo campo minato, il suo terreno di scontro. Da quel che so, i russi lanciano missili e droni, ma i droni non sono giocattoli: ognuno porta 50 kg di esplosivo. Gli scontri durano da più di dieci minuti: sento boati di varia intensità che vanno in sequenza e che sembrano mangiarsi lo spazio, altri sono di minore intensità, poi, nuovamente, altri boati più forti, deflagrazioni, scoppi di cannonate, bombe che esplodono. Nel corridoio dell’hotel continua il dialogo animato degli ospiti, finché d’un tratto la battaglia smette d mandarci i suoi cupi messaggi di morte. Torna il silenzio senza tremori di una tranquilla notte afosa ad Odessa. Adesso nel corridoio c’è qualcuno che ha un improvviso scoppio di riso. Forse è un riso isterico. Forse è un riso di sollievo. Adesso tutti rientrano nelle loro camere».
«Bersagli, non danni collaterali»
Ieri mattina è arrivata «la triste contabilità» della notte precedente, che il docente biker riassume così: «I russi hanno lanciato otto droni Shahed-131 e Shahed-136, di fabbricazione iraniana, e due missili. La contraerea ucraina li ha distrutti, ma i detriti hanno colpito un grattacielo provocando un incendio. Inoltre, l’onda d’urto provocata dalla deflagrazione in cielo dei droni, con i loro 50 kg a testa di esplosivo, ha danneggiato gli edifici circostanti. Tre persone sono morte e i feriti sono una trentina. In questo caso, i tre civili morti e i tanti feriti non sono danni collaterali, conseguenze indesiderate in una mirata azione militare che prevedeva di colpire obbiettivi sensibili. Un edificio incendiato alla periferia di Odessa non è un bersaglio mancato: è il bersaglio. Tutti gli ucraini sono il nemico».