Cesena, caporalato: ammesse paghe da fame ma non le violenze

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Paghe da fame sì ma nessuna violenza o minaccia ai lavoratori che gestiva. È questo il succo di quanto ha detto ieri, nel corso dell’interrogatorio in tribunale, En Naji Boulkoute, il principale imputato del processo per caporalato, figlio di arresti scattati nel marzo 2017, che vede alla sbarra altre quattro persone, oltre a lui. È un discrimine che può fare una grossa differenza nella quantificazione della pena in caso di condanna: con l’aggravante delle minacce e della violenza, si rischiano infatti dai 5 agli 8 anni di carcere, mentre senza questi elementi la minima è molto più lieve (1 anno) e la massima è di 6 anni. Una volta scarcerato, anche se sotto processo, En Naji Boulkoute, che ha la residenza a Mercato Saraceno, ha aperto una società nel settore avicolo. Un’avventura imprenditoriale che sostiene di affrontare ora in modo differente rispetto alla condotta che ha avuto e che lo ha inguaiato: le retribuzioni sono un po’ più dignitose rispetto ai 5 euro all’ora versati ai precedenti lavoratori che è accusato di avere sfruttato, e c’è un riconoscimento dei diritti basilari previsti dal contratto nazionale.

L’imputato principale

Per quel che riguarda il passato, ha ammesso che era lui l’amministratore di fatto e gestiva tutto. Quello che risultava come legale rappresentante sarebbe stato invece una “testa di legno”, che peraltro era un lavoratore sottopagato come tutti gli altri. Ma mentre ha riconosciuto l’entità miserabile della paga oraria, così come non ha negato carenze nella formazione che gli operai “reclutati” avrebbero dovuto avere, ha respinto seccamente alcune accuse che aggraverebbero la sua posizione. Ha per esempio negato di avere lasciato a casa per 5 giorni, come punizione, chi non aveva potuto presentarsi al lavoro perché si sentiva male. Semplicemente - è stata la sua spiegazione - una volta formata la squadra, non voleva smembrarla, ma non ha mai licenziato nessuno. En Naji Boulkoute ha poi provato a motivare il fatto che nei primi due mesi di lavoro agli operai veniva garantito l’alloggio gratis ma non venivano pagati. Ha raccontato che lui i soldi per l’attività prestata li riceveva a 60, 90 o 120 giorni di distanza. Per questo chiariva da subito agli assunti che la prima retribuzione l’avrebbero avuta a partire dal terzo mese. Ma poi - ha sottolineato - sarebbe stato saldato tutto quanto era dovuto, inclusi primi due mesi, una volta terminato il rapporto di lavoro. Cosa che non è stata possibile perché è stato arrestato.

Il capo-squadra

Oltre a En Naji Boulkoute, ha deposto nell’aula di giustizia anche Hicham Boulgoute, residente a Verona. Il suo ruolo sembra essersi ridimensionato, a quello di un semplice capo-squadra non ai vertici, stando a quanto emerso ieri. In una delle intercettazioni si sente che in una conversazione tra En Naji Bolkoute e R. B. (uno degli altri tre imputati assieme a Hamid Boulkoute e Hamed Boulgoute, con cognomi pressoché identici ma differenti), si fa il nome di Hicham come possibile persona da contattare e questo faceva supporre un suo ruolo di primo piano. Ma lo stesso En Naji lo ha negato, puntualizzando che Hicham non fu infatti coinvolto in quel non riuscito tentativo di insabbiamento.

Palla alla difesa

La prossima udienza è stata fissata per il 15 febbraio, quando davanti al collegio giudicante presieduto da Monica Galassi verranno sentiti i testimoni della difesa. Gli avvocati Alessandro Sintucci e Massimo Dal Ben hanno in particolare chiamato a fornire spiegazioni tecniche un consulente del lavoro, per capire quanto quelle condizioni di lavoro sulle colline cesenati, nel sistema messo in piedi dalle cooperative “Power Service” ed “Euro Service”, cozzassero coi diritti previsti. Oltre alle vittime, si è costituita parte civile la Cgil: sono assistiti dagli avvocati Beatrice Baratelli e Francesco Lombardini.

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