Cesena, caporalato: accuse degli sfruttati acquisite a processo

Archivio

Udienza interlocutoria e molto “tecnica”, ieri, al processo per caporalato che vede alla sbarra cinque imputati. Davanti al collegio giudicante presieduto da Monica Galassi, con la pm Sara Posa a sostenere la pubblica accusa, si è sostanzialmente provveduto ad acquisire le dichiarazioni precedentemente rese davanti all’Ispettorato del lavoro da una decina di lavoratori che hanno accusato di essere vittime di sfruttamento. Assieme a qualche altro collega, si sono costituiti parte civile, assistiti dagli avvocati Beatrice Baratelli e Francesco Lombardini, che tutelano complessivamente oltre venti persone. Anche la Cgil si è costituita parte civile, affidandosi all’avvocato Gian Andrea Ronchi. Gli imputati, difesi dagli avvocati Alessandro Sintucci e Massimo Dal Ben, sono invece i fratelli di origine marocchina Hamid ed En Naji Boulkoute, rispettivamente residenti a Cesena e a Mercato Saraceno, e Rachid, Hamed e Hicham Boulgoute, residenti a Verona.

Dopo avere acquisito le dichiarazioni fatte a suo tempo, ci si è aggiornati all’8 giugno. Quel giorno dovrebbe essere sentita dai giudici almeno una parte di circa 10 altri lavoratori da cui si vuole ascoltare le condizioni in cui operavano in aziende avicole sulle colline cesenati, dove vivevano anche, in alloggi sovraffollati a Borello. In successive udienze saranno sentiti i testimoni della difesa e poi ci si incamminerà verso la sentenza.

Nella precedente udienza 5 lavoratori avevano descritto una situazione molto pesante. Avevano raccontato di essere pagati 5 euro all’ora per la loro attività di manovalanza negli allevamenti, o 7 euro in una minoranza di casi più “fortunati”, mentre gli autisti dei camion guadagnavano circa 1.000 euro al mese. Da quanto hanno riferito, a capo di questo gruppo di sfruttatori era Naji, mentre quello che potrebbe essere definito il numero due era Hamid. La valutazione dei ruoli è fondamentale anche per capire se si possa configurare l’associazione per delinquere, che è uno dei reati contestati (e richiede la partecipazione di un minimo di tre persone), oltre al caporalato e all’assunzione di manodopera straniera non in regola col permesso di soggiorno. Quest’ultimo aspetto è cruciale. in quanto la ricattabilità che ne derivava rendeva fragili i lavoratori, favorendone lo stato di sudditanza. Tra le ombre emerse a seguito del blitz effettuato nel 2017 dalla Guardia di finanza, oltre al fatto di essere sottopagati, c’è anche il fatto che il lavoro sarebbe stato fatto spesso senza protezioni necessarie per tutelare la salute, e in ambienti disastrosi. Eppure, alcuni continuavano a sopportare quelle condizioni da 5-6 anni. Per il momento, non sono invece emersi episodi che facciano pensare a comportamenti minacciosi o violenti da parte dei caporali-datori di lavoro.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui