Cesena, banda Uno bianca: amari ricordi di morte e di disprezzo

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Era il 19 giugno 1991 e stava lavando l’auto nel giardino di casa, al numero civico 210 di viale Marconi, sua quando sentì degli spari. In quel momento Ugo Vandelli era un agente di polizia in forza al Caps, dove era arrivato vent’anni prima, al termine di un triennio al Reparto mobile a Piacenza, ma non era in servizio. Però corse subito nelle direzione da dove aveva sentito quel rumore di esplosioni da arma da fuoco. Fu così il primo a intervenire al distributore di carburanti dove Graziano Mirri era stato ammazzato a sangue freddo.Quell’episodio, uno dei più sconvolgenti delitti compiuti dalla banda della Uno bianca, ha lasciato un segno profondo su Vandelli, sia sul piano umano che dal punto di vista professionale. Così, lunedì scorso, quando Giancarlo De Cataldo ha mandato in onda sulla Rai la puntata di “Cronache criminali” dedicata alle feroci azioni criminali del gruppo che faceva capo ai fratelli Savi, nella sua mente sono riaffiorati ricordi e si sono riaperte ferite non del tutto rimarginate.

Ferocia al distributore

Erano le 18.50 del 19 giugno di 32 anni fa quando Graziano Mirri, che era nato a Mercato Saraceno il 7 marzo 1936 e si era trasferito dal 1967 a Cesena, dove abitava in via Campania, stava chiudendo il distributore. Con lui c’era la moglie Giuseppina Cannini, che tutti chiamavano Pina. Da una Fiat appena arrivata lì scese un uomo, incappucciato e con una pistola in mano intimò: «Fuori i soldi, svelto, è una rapina». Ma la vittima quasi non fece in tempo a rendersi conto di cosa stava accadendo: Fabio Savi lo uccise immediatamente con 9 colpi sparati a bruciapelo. Poi risalì sull’auto, a bordo della quale c’era il fratello Roberto, e si allontanò in fretta e furia, senza alcun bottino, mentre la moglie della vittima, sotto shock, lanciava verso il killer in fuga il borsello con l’incasso della giornata.

Lo strazio della vedova Mirri

Graziano Mirri morì in ambulanza e quattro anni dopo la vedova, in un’udienza del processo, rivolse nel tribunale di Rimini a Fabio Savi parole piene di sofferenza: «Ti davo i soldi, oggi lo vado a trovare al cimitero». Poi, mentre i carabinieri la scortavano fuori dall’aula, urlò guardando la cella dove erano rinchiusi i banditi: «Me lo hanno ucciso come un cane. I soldi ve li dava. Io non l’ho più». L’omicidio Mirri non è stato l’unico momento in cui la vita di Ugo Vandelli si è incrociata con la banda della Uno bianca.

L’assalto alle poste

«Il 15 luglio 1991 fui trasferito al Commissariato - racconta Vandelli, che si è congedato nel 2010, da comandante della polizia ferroviaria di Forlì-Cesena, per raggiunti limiti d’età - Il giorno stesso del mio insediamento ebbi il cosiddetto battesimo del fuoco. Infatti, nelle prime ore del pomeriggio, la banda fece una rapina all’ufficio postale di via Fratelli Spazzoli, usando come minaccia una tanica di benzina, con cui diede poi alle fiamme l’auto usata».

Razzismo sanguinario

Il delitto più sconcertante con cui ebbe a che fare Vandelli fu però commesso poche settimane dopo. «Il 18 agosto 1991 intervenimmo a San Mauro Mare, dove furono uccisi in un agguato due operai senegalesi, mentre un terzo fu ferito - ricorda - L’aggressione non fu a scopo di rapina, o dovuta alla volontà di eliminare i testimoni di un reato, ma era motivata dalle convinzioni razziste dei membri della banda».

Il cassiere ferito

Successivamente - prosegue l’agente cesenate - «assieme al dirigente, per competenza territoriale, affiancai il pool di specialisti, inviati da Roma per condurre le indagini per smascherare e fermare la banda». Ma non era finita. «Il 10 agosto 1992, giorno del mio compleanno, intervenni dopo la tentata rapina al Credito Romagnolo di viale Oberdan, che si concluse con un cassiere gravemente ferito».

Indagini e intuizioni

Vandelli rivela un retroscena delle indagini: «Durante una delle scorte che ho fatto al senatore Libero Gualtieri, sentii che lui fu il primo a fare cenno al fatto che i componenti della banda della Uno bianca potessero essere “schegge impazzite dello Stato”. E anche Rossano Signoretti, allora dirigente del Commissariato di pubblica sicurezza Cesena, ebbe un’altra intuizione: andammo a fare sopralluoghi nelle cave per verificare se qualche poliziotto avesse acquistato o fatto brillare degli esplosivi. Scoprimmo che in effetti c’erano dei colleghi che ne facevano uso, ma non avevano niente a che fare con la banda».

L’odio verso la polizia

Un momento che ha lasciato l’amaro in bocca a Vandelli fu quello successivo all’arresto dei criminali della banda, a fine 1994. «All’epoca ero il dirigente delle volanti. Ricordo che furono momenti brutti per tutti quelli che portavano una divisa che era stata “infangata” da poliziotti assassini. La gente ci guardava con sospetto e ci parlava malvolentieri. Ho visto qualcuno dei più giovani che addirittura sputava al nostro passaggio. E chi chiamava il 113 chiedeva l’intervento dei carabinieri, e non il nostro, perché non si fidava più».

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