Se un incidente che si verifica in un ambiente di lavoro coinvolge un “non lavoratore”, è possibile contestare ai responsabili mancanze in materia di sicurezza sul lavoro? E’ la domanda attorno alla quale ruota il processo che vede imputate tre persone, accusate di lesioni colpose aggravate per le conseguenze riportate da un bimbo di 8 anni, che nell’estate del 2022 rischiò di annegare rimanendo incastrato con un braccio nel bocchettone della vasca idromassaggio di un hotel di Pinarella. A processo ci sono i due gestori della struttura ricettiva e il responsabile della società incaricata di effettuare la manutenzione delle piscine, compresa la vasca in cui si sfiorò il dramma.
I familiari del bimbo, residenti a Milano e assistiti dall’avvocato Laura Severgnini, sono stati risarciti in virtù di un accordo trovato con le parti, e hanno deciso di ritirare la querela. Tuttavia ieri, nell’udienza davanti al giudice Roberta Bailetti in seguito all’opposizione del decreto penale di condanna emesso nei confronti dei tre imputati (due dei quali cesenati), il sostituto procuratore Silvia Ziniti ha sostenuto che, trattandosi di un hotel e quindi di un ambiente di lavoro, la remissione della querela non sia sufficiente a estinguere il reato. Da qui la decisione del giudice di concedere tempo alle difese (gli avvocati Fabrizio Briganti per i due gestori dell’hotel e Vittorio Manes per il titolare della ditta incaricata della manutenzione della piscina) per presentare le rispettive memorie difensive, in vista dell’udienza fissata per metà dicembre. In quell’occasione il processo, qualora fosse accolta l’ipotesi accusatoria, potrebbe entrare nel vivo sentendo i consulenti e i testi delle parti.
Lo choc di fronte ai clienti
L’incidente avvenne in un hotel per famiglie a Pinarella di Cervia. Era il 29 luglio di tre anni fa. Mentre il bimbo veniva trasportato d’urgenza in ospedale, la vasca veniva sequestrata dando il via alle indagini per ricostruire l’accaduto.
Emerse che i genitori del bimbo erano nell’area piscina, attenti da una parte al figlioletto più piccolo che si trovava appunto nella vasca con l’acqua bassa, ritenuto dunque non in una situazione di pericolo, dall’altra alla figlia più grandicella nella piscina più profonda. Era stato un attimo e il braccio del bambino era finito dentro il bocchettone fin quasi alla spalla, restando incastrato con un effetto ventosa tale da lasciarlo con la testa immersa. Nessuno riusciva a liberarlo, al punto che i presenti, nella concitazione del momento, si erano cimentati nel disperato tentativo di svuotare a mano la vasca. Era stato provvidenziale, come detto, l’intervento di un cuoco; approfittando della fine del timer dell’idromassaggio, era riuscito con una delicata rotazione a disincastrare il braccio del piccolo, affidandolo ai tentativi di rianimazione effettuati in prima battuta dalla madre, di professione operatrice sanitaria. I danni dovuti alla sommersione durata alcuni minuti furono notevoli, tradotti in 30 giorni di prognosi iniziali con ricovero all’ospedale di Bologna.
Mancava la griglia di protezione
Tra le lacune elencate dal capo d’accusa, a suo tempo individuate da un consulente incaricato dalla Procura, viene contestata in particolare la mancanza di una griglia di copertura della bocchetta di aspirazione. Non era presente poi un pulsante di spegnimento dell’impianto di idromassaggio, né il regolamento che imponeva la presenza di un adulto e l’avviso di pericolo di rimanere intrappolati con gli arti all’interno della bocchetta. Carenti, secondo l’accusa, anche le ispezioni periodiche e l’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi. Criticità dovute pure - secondo l’accusa - all’aver affidato la manutenzione a una società “priva di competenze specifiche”. Con l’accordo raggiunto con la famiglia per il risarcimento, le contestazioni mosse nel contesto delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro lasciano ancora aperto il processo, in attesa delle valutazioni del giudice.