Cervia, prof accusato di molestie attacca: "Trappola delle alunne"

Cervia

Le ha ribattezzate «le tre cape», perché a suo dire sarebbero state proprio loro a influenzare le altre compagne di classe, convincendole a sostenere un’accusa di quelle che possono rovinare la vita: cioè di essere state palpeggiate e molestate dal professore. Tutte falsità, ha ribattuto più e più volte il docente, un 66enne insegnante di Alimentazione all’istituto Alberghiero di Cervia, ora in pensione, finito a processo con l’accusa di violenza sessuale pluriaggravata. Contro di lui pesa il numero dei racconti fatti da circa una decina di studentesse, che nell’anno scolastico 2018/2019 lo hanno additato come “il pedofilo”, raccontando di presunti toccamenti al seno e altrettanti strusciamenti durante le lezioni. Se nulla di quanto detto dalle alunne è vero - ha chiesto ieri il sostituto procuratore Angela Scorza all’imputato - «perché allora lo avrebbero denunciato?».

Le ragioni del prof

Secondo l’insegnante - tutelato dagli avvocati Maurizio Taroni, Claudio ed Ermanno Cicognani - sarebbero tre i motivi che hanno determinato una sorta di “trappola” che nel 2019 gli costò l’arresto. «Litigai con le tre ragazze per via di un’interrogazione nella quale feci una ramanzina perché una di loro non era preparata»; poi, «c’era del rancore da parte di chi, dopo avere spostato una verifica, si trovò 5 in pagella»; infine «decisi di ritirare il cellulare a tutti perché c’era troppo lassismo in quella classe. Una delle ragazze si rifiutò di darmelo e anche tutti gli altri la seguirono». E’ stato allora che «decisi di ripristinare le flessioni in classe, nonostante il dirigente mi avesse detto di smettere. Pensavo di risolvere la situazione, invece non risolsi nulla». Anzi, proprio gli esercizi fisici impartiti come punizione per ritardi o comportamenti indisciplinati sarebbero finiti fra i racconti delle bizzarrie che avvenivano in classe. Come la proposta di una gita scolastica alle terme, oppure la festa di Natale, con i balli dentro l’aula. Ma per il 66enne sarebbero stati proprio quegli screzi a spingere le ragazze a «girare per le classi chiedendo se io toccavo, e a bullizzare le due compagne che invece si rifiutavano di accusarmi».

La chat fra ragazze

Alla fine le i racconti erano stati raccolti dalle adolescenti in una chat di Whatsapp nominata “girls”. Fra le testimonianze condivise e poi approfondite dagli inquirenti della Squadra Mobile, c’erano palpeggiamenti al seno, toccamenti fatti passare come accidentali, o anche strusciamenti sulla schiena quando il docente girava fra i banchi. Le ragazze avevano anche raccontato un episodio avvenuto durante la misurazione della circonferenza del polso per calcolare il peso ideale: il professore ne avrebbe approfittato per appoggiare la mano di alcune di loro ai propri genitali. Circostanze negate categoricamente dall’imputato, e da lui inquadrate invece come una semplice mano appoggiata sulla spalla o urti casuali.

La teoria del “contagio”

A supportare il docente ieri, tra i testi della difesa, ha deposto una psicologa, ventilando la possibilità che un comportamento frainteso come inopportuno da parte di qualche ragazza sia stato oggetto di un «contagio inconscio all’interno della classe». E sull’onda di una presunta macchinazione contro il professore, una ex collega, tuttora insegnante nell’istituto, ha riferito di un recente “scandalo”, legato a una relazione tra un professore di sostegno e un’alunna, oggetto lo scorso anno di un’assemblea d’istituto; un incontro nel quale - ha spiegato - le studentesse avrebbero suggerito come muoversi perché - questa la frase riportata - «c’erano dei soldi da prendere». Il processo si avvia ora verso le battute finali davanti al collegio penale presieduto dal giudice Cecilia Calandra (a latere Federica Lipovscek e Cristiano Coiro). Singolare casualità, la sentenza è prevista per l’8 marzo, festa della Donna.

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