Celli: "Anche il divertimento è cultura, e Rimini ne è la capitale"

Rimini

Non c’è dubbio: per candidare Rimini a capitale italiana della cultura 2024 ci sono tutti gli ingredienti. È ciò che sostiene fermamente Pier Luigi Celli, noto imprenditore e dirigente d’azienda, saggista e scrittore, già direttore della Rai e della Luiss, nonché presidente dell’Enit, verucchiese, classe 1942.

Celli, cosa pensa di questa eventuale candidatura?

«Non ci possono essere obiezioni, ma bisogna prepararsi bene. Soprattutto: non dividersi. Bisogna sentire le voci di tanti, possibilmente di tutti. È un fatto socialmente rilevante, che può mettere la città per almeno un anno sotto i riflettori. Non è una cosa semplice, anche perché si entrerebbe in competizione con le altre candidature. Qualche anno fa ho partecipato per appoggiare la candidatura di Agrigento, ma vinse Parma. In quel caso era difficile che la nomina potesse toccare a una città siciliana, Palermo era stata capitale italiana della cultura poco prima, ma mi ricordo che ci furono audizioni, ci fu da argomentare molto. Insomma, c’è del lavoro da fare, non si può improvvisare».

Rimini avrebbe le capacità e i mezzi per ottenere questo riconoscimento?

«Senza dubbio. Ci sono riuscite anche realtà meno – in un certo senso – titolate. Rimini ha una cultura storica rilevante, dei beni artistici di qualità, personaggi storici da esporre. Ci sono tutti gli ingredienti, bisogna solo lavorarci sopra, e lavorare possibilmente d’accordo, che è la cosa alle volte più difficile per noi romagnoli».

Francesco Sberlati, italianista e professore all’Università di Bologna, ha di recente dichiarato che Rimini merita la candidatura ma che occorre intendersi sul significato del termine cultura.

«Se cominciamo a discutere sul significato dei termini non ne usciamo più. Cultura è un insieme di artefatti cognitivi e materiali che un popolo ha messo insieme nella sua storia. Noi abbiamo una distintività storica che in qualche modo sorregge una cultura, tipica, che va esposta senza remore né vergogne. Se cominciassimo a disquisire sul termine cultura, ci accorgeremmo che ci sono centinaia e centinaia di volumi in merito. Non riusciremo di certo noi a dare la parola definitiva. Puntiamo piuttosto a valorizzare tutto ciò che è distintivo e caratteristico, tutto ciò che nei secoli ha sostenuto la nostra identità e lo sviluppo di quello che siamo in grado di esporre e di dire al mondo. Basterebbe. Ho lavorato nove anni in università. Purtroppo, per la mia esperienza, posso dire che se le accademie avessero funzionato, questo Paese sarebbe diverso, avrebbe formato schiere di élite».

Rimini capitale della cultura 2024 potrebbe aiutare anche ad allontanarsi dallo stereotipo di una città fatta solo di mare e discoteche?

«Ma è un fatto culturale anche quello. Le discoteche riminesi hanno stabilito un punto di riferimento nel mondo. Il divertimento è cultura. L’organizzazione delle attività turistiche è cultura. Il modo in cui il mare si è collegato alla terraferma nella nostra provincia è un fatto culturale rilevantissimo. Bisogna togliersi dalla testa che noi siamo solo “divertimento banale”. Certi riferimenti culturali di questo Paese, come quelli giovanili, sono ancora legati alle discoteche di Rimini, “discoteche” tra virgolette, perché erano centri di aggregazione, punti di riferimento dove si è formata gran parte della scena musicale degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Questo è cultura».

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