Qual è il progetto di banca che intende portare avanti il nuovo cda del Credito Cooperativo Romagnolo, che uscirà dal voto nell’assemblea del 5 maggio in cui è all’ordine del giorno anche il rinnovo delle cariche? È la domanda che sta serpeggiando fra diversi dei 7.500 soci della banca, nella convinzione che, «se uno si candida, lo fa sulla base di un’idea, ma nessuno sa quale sia questa idea». Per esempio, una scelta fondamentale da fare sarà quella relativa a eventuali fusioni. Non solo. Quella che viene definita «una votazione al buio», visto che avverrà col sistema del rappresentante designato, cioè senza la presenza fisica dei soci, che possono solo delegare un notaio, ha un altro grande punto interrogativo: quello sull’identità del futuro presidente di Ccr.
A sollevare questa e altre questioni è Stefano Magnani, imprenditore agricolo e lavoratore dipendente a S.Angelo di Gatteo, che da 13 anni è socio ed è anche componente del Comitato soci di Ccr della zona del Rubicone. Fa tanti rilievi, precisando che sono a nome anche di altri, perché «le quattro riunioni informative organizzate coi soci (l’ultima è in programma oggi alle ore 18, al circolo di Ronta) non possono sostituire l’assemblea e tra l’altro sono state convocate in giorni non festivi e in orari lavorativi, con la conseguenza che per molti è stato impossibile partecipare».
Rebus su idee e presidente
A proposito di chi sarà il presidente che subentrerà Valter Baraghini, Magnani segnala un particolare tutt’altro che trascurabile: «Per accordi scritti di fusione deve essere espressione di ex Bcc Gatteo». È un secondo elemento di cui tenere conto, oltre a una prassi ereditata dalle vecchie Casse Rurali e Artigiane: quella di alternare alla guida di queste banche un rappresentante del mondo agricolo con uno del mondo artigiano. Questa volta toccherebbe agli agricoltori, e infatti il nome che circola con insistenza è quello di Adamo Zoffoli (attualmente vice presidente dello stesso Ccr), pilastro di Coldiretti. Però, se si applicasse il principio per cui il timone andrebbe affidato a una personalità del pianeta della ex Bcc Gatteo, Zoffoli non avrebbe quella caratteristica. Insomma, la situazione sembra sempre più ingarbugliata. Inoltre, Magnani, a proposito delle candidature formalizzate per il rinnovo del cda, si chiede «come si possa votare un nuovo consiglio in cui si ripresenta il 75% dei consiglieri che hanno fatto sì che Iccrea declassasse la banca dal rating A, il più alto, al rating E, che è il penultimo della classifica». Una decisione presa di recente, dopo le dimissioni in blocco del collegio sindacale.
Quattro questioni sotto tiro
Al di là di questo rebus, Stefano Magnani si fa portavoce di altre obiezioni, ribattendo anche ad alcune risposte date dal direttore uscente di Ccr, Giancarlo Petrini, a rilievi che sono stati fatti durante gli incontri pre-assemblea di questi giorni.
Sul patrimonio osserva che, comunque la si voglia mettere, «dai dati ufficiali risulta che è diminuito di circa 17 milioni di euro e ciò significa una perdita di valore dell’azienda, e quindi un detrimento per i soci».
Sull’ipotesi di aumento dei compensi ai membri del cda, ritiene «incomprensibile che una banca che viene declassata proponga di aumentarli».
Poi, rimanendo in tema, lancia frecciate anche sul sostanzioso bonus che a quanto pare il direttore Petrini avrebbe ottenuto dal cda nel momento in cui sta per lasciare il suo incarico: «Noi soci e clienti della banca – sottolinea Magnani – siamo persone normali, lavoratori e imprenditori. Non conosciamo nessuno che nell’andare in pensione abbia in regalo dalla sua azienda somme come quelle di cui si sente parlare. Per quanto ne sappiamo, il contratto dei dirigenti prevede semplicemente 3 mesi di preavviso e poi il direttore potrà godersi la sua pensione», per la quale ha già maturato i diritti.
Un’altra perplessità espressa da Magnani riguarda la mancata distribuzione di dividendi da parecchi anni. Petrini ha spiegato che si è preferito un meccanismo di premi sotto forma di buoni spesa, che ha anche il vantaggio di non venire tassato, ma la replica è che si tratterebbe di «una remunerazione discriminatoria, perché è basata sull’operatività dei conti. Per esempio, se uno ha 10.000 euro di quote ma è in pensione e movimenta poco, avrà meno premi di chi ha una quota da 50 euro ma movimenta molto. In questo modo si crea disparità tra i soci».