Cavoletti di Bruxelles e acciughe: il cibo che cura l’infiammazione

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È un delicato equilibrio quello che ricerca il nostro organismo per restare in salute; un equilibrio che dipende in gran parte anche dallo stile di vita e dall’alimentazione che assumiamo: «Il nostro organismo si trova costantemente ad affrontare stati di infiammazione o flogosi – spiega Paolo Lasagna, biologo nutrizionista attivo a Cervia, Ravenna e Cesena, esperto nello studio della nutrigenetica e nutrigenomica – un meccanismo di difesa prevalentemente locale del nostro corpo atto a proteggerci dell’azione dannosa di agenti fisici (traumi, calore), chimici (acidi, eccetera), tossici o biologici (batteri, virus, eccetera) a discapito di alcune cellule che compongono un determinato distretto dell’organismo. Il fine ultimo di questo meccanismo è l’eliminazione della causa iniziale del danno tissutale o cellulare e l’avvio del processo di ripristino di una condizione di normalità fisiologica». Ciò che mangiamo ricopre un ruolo importante in questo meccanismo: «Un’infiammazione cronica o silente può essere indotta anche dalla dieta. Siccome si tratta di una reazione a lungo termine, si manifesta in maniera asintomatica, ma rappresenta un importante fattore di rischio per malattie virali, autoimmuni e degenerative come obesità, sindrome metabolica, diabete, ipertensione, disturbi cardiovascolari e osteoarticolari, patologie neurodegenerative e cancro con conseguente riduzione dell’aspettativa di vita sana».

Ecco alcuni dei cibi più nocivi.«Gli alimenti che favoriscono uno stato di infiammazione sono quelli ricchi di omega 6, come i semi di girasole, di soia, di sesamo, di lino spesso utilizzati nell’industria alimentare dopo avere subìto vari processi di trasformazione, il mais, il germe di grano e tutto il cosiddetto “junk food” o “cibo spazzatura”. Ma ci sono anche degli alimenti, apparentemente innocui, che sono comunque ricchi di omega 6 come le noci, le mandorle, gli anacardi e le arachidi».

Al contrario ci sono alcuni cibi che contrastano favorevolmente lo stato di infiammazione: «Gli alimenti che contribuiscono a ridurre l’infiammazione sono quelli più ricchi di acidi grassi omega 3 e poveri di acidi grassi omega 6. Questi sono il pesce azzurro (acciughe, alici, sarde, sgombro, pesce spada, tonno fresco), il salmone, i gamberetti, le trote, le sardine, le verdure e, in particolare, i cavoli, i broccoli, il cavolfiore, i cavoletti di Bruxelles e gli spinaci. Inoltre, l’olio extravergine di oliva ha un elevato contenuto di acido oleico capace di ridurre gli indicatori di infiammazione e contiene molti antiossidanti che, a loro volta, hanno anche una azione antiinfiammatoria».

Ma attenzione, i cibi contenenti elevati contenuti di omega 6 non devono essere completamente eliminati dalla nostra dieta: «Le molecole (omega 3 e 6) contenute in questi cibi non vengono prodotti dal nostro organismo, ma dobbiamo assumerle attraverso l’alimentazione secondo un preciso rapporto tra di loro. Infatti, è importante tenere presente che sarebbe profondamente sbagliato eliminare l’assunzione degli omega 6 dall’alimentazione, è invece fondamentale cercare di assumerli sempre in quantità tale che siano nel giusto rapporto con gli omega 3. A tale fine opportuno sarebbe verificare il contenuto di queste due famiglie di acidi grassi negli alimenti che si intende assumere attraverso la consultazione di tabelle facilmente reperibili in letteratura e tenendo presente che spesso, in uno stesso alimento, si trovano, sia pure in percentuali variabili, tanto gli omega 3 che gli omega 6. Scorretto è comunque anche eccedere nell’assunzione di alimenti ricchi di omega 3 in quanto questi grassi hanno un’azione anticoagulante».

Esistono degli esami specifici per valutare lo stato infiammatorio: «Per la valutazione di un’eventuale condizione di infiammazione cronica può risultare utile il “Test dell’infiammazione” che valuta il rapporto tra l’Acido Arachidonico (AA) indicatore degli omega 6 e l’acido eicosapentaenoico (EPA) indicatore degli omega 3. Più questo rapporto AA/EPA è elevato, più ci si trova di fronte a una condizione di infiammazione cronica. Viene considerato ideale un valore di questo rapporto compreso tra 1,5 e 3,0. In alternativa si può anche procedere a una valutazione della concentrazione nel sangue di molecole infiammatorie come varie interleuchine o del TNF-alfa o della proteina C reattiva, tutte molecole la cui quantità ematica aumenta se è in corso uno stato infiammatorio».

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