Cattolica, Pippo Delbono sull'amore al Teatro della Regina

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Un viaggio che fonde tradizioni portoghesi e sfide contemporanee per indagare il più universale dei sentimenti: Amore è il nuovo spettacolo di Pippo Delbono in scena questa sera (sabato 20 ottobre) al Teatro della Regina di Cattolica. “Amore” è un viaggio musicale e lirico attraverso una geografia esterna – oltre al Portogallo, l’Angola, Capo Verde – e una interna, quella delle corde dell’anima che vibrano al minimo colpo della vita. Le note sono quelle malinconiche del fado; il ritmo quello ora di una parata, ora di un tableau vivant, ora di una lenta processione; l’immagine è un quadro che muta nei colori, si scalda e si raffredda. E c’è poi la parola poetica, restituita dal registro caldo di Delbono attraverso il suo consueto, ipnotico, salmodiare al microfono.

Delbono, com’è nato questo spettacolo?

«Il Portogallo è il punto di partenza del lavoro perché è lì che è nato. Lo spettacolo evoca l’amore, un sentimento che coinvolge tutto. Un vero e proprio ingranaggio nell’organismo umano, che seleziona, sposta, frantuma e ricompone tutto ciò che vediamo, che sentiamo, tutto ciò che desideriamo. Riflette poi sulla morte attorno alla circostanza della pandemia con cui abbiamo dovuto fare i conti».

In che modo viene fuori l’amore?

«Questo spettacolo presenta una duplice visione dell’amore. Da una parte ci mettiamo, tutti, alla ricerca di quell’amore, cercando di sfuggire alla paura che ci assale. In questo viaggio si cerca di evitarlo, questo amore, anche se ne riconosciamo costantemente l’urgenza; io lo ricerco, ma anche lo voglio, ed è proprio questo che fa paura. Ma il cammino – fatto di musiche, voci, immagini – riesce poi, forse, a portarci verso una riconciliazione, un momento di pace in cui quell’amore possa manifestarsi al di là di ogni singola paura».

Quali sono i riferimenti letterari a cui attinge la drammaturgia?

«Le parole sono quelle di Carlos Drummond De Andrade, Eugenio De Andrade, Daniel Damásio Ascensão Filipe, Sophia de Mello Breyner Andresen, Jacques Prévert, Reiner Maria Rilke e Florabela Espanca».

“Amore” è il tentativo di portare dentro al teatro la vita. Che ruolo può avere il teatro oggi?

«Un ruolo di riconciliazione con l’amore, con l’altro, con l’essere amico. Può aiutare a ritrovare un senso profondo alla vita. Qui, nominando la parola amore, invocandola in maniera laica e sognante, abbiamo forse la possibilità di darle voce e, a lungo grande assente nei discorsi pubblici, liberarla dalla confusione che ha regnato sull’intera narrazione di questa odissea globale, spaventosa, terribilmente umana».

Cosa si aspetta dal pubblico romagnolo?

«È un bel pubblico, attento e molto vivo, quindi saprà accogliermi così».

Protagonista è l’assenza, è la distanza, è la nostalgia, una mappatura di emozioni che scava nell’animo dell’autore, dei suoi interpreti e dello stesso spettatore, chiamato a cercare sempre con gli occhi ciò che manca e che, inesorabilmente, tarda a manifestarsi. Il prossimo appuntamento al Teatro della Regina sarà giovedì 25 novembre con “Interno familiare” con la voce Iaia Forte e il sax di Javier Girotto. Buio in sala alle 21.15.

Info: www.teatrodellaregina.it

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