Cattolica. Bimba di Montiano morta, medico condannato e l'Ausl dovrà pagare 800mila euro alla famiglia

Rimini

Morire di appendicite nell’Europa del terzo millennio non dovrebbe essere più possibile. Il Tribunale di Rimini ha emesso la sua sentenza di condanna nei confronti della dottoressa, oggi 36enne, che sei anni fa, il 19 luglio 2017, non si accorse che la bimba di cinque anni che stava vistando aveva un’infiammazione dell’appendice. Ritenuta responsabile di omicidio colposo per colpa medica, la pena riportata è di un anno di reclusione (sospesa) ed è stato disposto un risarcimento di 800mila euro che Ausl Romagna dovrà corrispondere alla famiglia.


La vicenda

Era successo al Pronto intervento di Cattolica, località in cui Teresa si trovava per trascorrere alcuni giorni al mare a casa dei nonni. La piccola viveva infatti a Montiano insieme ai genitori affidatari, Emanuele Caldari e Giorgia Palazzo, che l’avevano accolta in famiglia in tenera età, avendo trascorso i primissimi anni di vita in una comunità con la madre naturale. Tempo qualche mese e l’adozione da parte della famiglia del Cesenate sarebbe stata definitiva. Invece, la mancata diagnosi di appendicite di quel giorno d’estate di quasi sei anni fa ha irrimediabilmente strappato la piccola alla vita.
La bambina arrivò al presidio ospedaliero tra le braccia della mamma, preoccupata per il mal di pancia della figlia nella parte destra del basso ventre, per la febbre a 38 e il vomito che aveva avuto nel pomeriggio al mare. La dottoressa la dimise prescrivendole le analisi e ipotizzando un’infezione alle vie urinarie, dicendo alla madre di ritornare l’indomani per ritirare la ricetta medica. Nei giorni successivi Teresa continuò a manifestare inappetenza e ad avere qualche linea di febbre, ma l’ipotesi dell’appendicite era stata ormai esclusa, attribuendo quei sintomi all’infezione urinaria ipotizzata dalla dottoressa.
La mattina di due giorni dopo, invece, la mamma trovò Teresa nel letto priva di sensi, in uno stato di semi-incoscienza. La piccola esalò l’ultimo respiro tra le braccia della madre.
L’autopsia disposta in seguito certificò che a uccidere la bambina era stata una setticemia causata dall’appendicite retrocecale, più difficile da diagnosticare, degenerata in peritonite.


«Il primo turno da sola»

Eppure, per i legali Moreno Maresi e Mattia Lancini, che hanno assistito a giudizio la giovane dottoressa, quella notte il medico aveva contattato la Pediatria dell’Infermi proprio per chiedere come comportarsi con la piccola, poiché quel turno maledetto era il primo che affrontava da sola. Le consulenze fatte a processo hanno messo in chiaro però che con accertamenti più approfonditi, (ad esempio compiendo una serie di manovre specifiche o facendo le analisi del sangue) anche l’appendicite retrocecale poteva essere individuata.
Per conoscere le motivazioni della sentenza occorre attendere 90 giorni, ma per i legali che hanno assistito il padre, la madre e i fratellini affidatari (gli avvocati Giovanni Marcolini e Luigi Renni) la decisione del giudice certifica l’errore dell’operato medico. Riconoscimento importante, dicono «perché tragedie di questo genere non si verifichino mai più». È in corso anche un procedimento parallelo in sede civile promosso dalla madre naturale e dal nonno della bambina.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui