Caterina Cavina e "Le radici dei fiori"

Cultura


Dopo il successo letterario de “Le ciccione lo fanno meglio” del 2008, Caterina Cavina (classe ’72) torna con un nuovo intenso e vibrante romanzo, “Le radici dei fiori” edito dalla bolognese Pendragon.

L’autrice di Castel San Pietro, ex giornalista da anni passata al settore sociosanitario e residente a Medicina – dopo essersi dedicata nel precedente lavoro al delicato tema della fat acceptance e nel 2011, con il racconto gotico rurale “La merla”, a quello altrettanto sentito del femminicidio – si concentra ancora una volta su un argomento dai tanti risvolti.

Nel romanzo edito da Pendragon, infatti, la scrittrice parla di diversità, accettazione, inclusività e lo fa attraverso una riuscitissima protagonista femminile. Arianna è una ragazza albina che vive in campagna in compagnia di molti gatti – vero e proprio amore di Cavina – e di Wogler, vecchio gentile che si prende cura di lei. Immersa in tanti brutti ricordi e in fiumi di alcool, l’esistenza della giovane cambia quando decide di disintossicarsi e intraprendere un percorso di rinascita tra le mura di una clinica specializzata, dove incontra un caleidoscopico universo di “ragazzi perduti”. Durante il suo percorso di rinascita e di riscoperta di sé e del mondo, Arianna comprende che la violenza – conosciuta fin da piccola attraverso una madre violenta e un compagno altrettanto brutale – non è l’unica forma di relazione, ci sono altre dinamiche e altre strade possibili: incontrando perdita e dolore, ma anche gioia e amore, la protagonista capisce il valore dei piccoli gesti, delle nuove possibilità che si fanno concrete.

In un’atmosfera onirica e ricca di significati – a partire dall’allusivo titolo, che rimanda inevitabilmente alla fragilità e alla forza che insieme caratterizzano le esistenze difficili – il romanzo pone il lettore innanzi a temi intensi quali la dipendenza, la solitudine, la violenza e la diversità, ma lo fa attraverso una narrazione che sa essere anche leggera e che tocca il cuore attraverso un uso sapiente ed equilibrato di diversi registri.

E così, immergendoci in una storia in cui l’autrice ha saputo inserire diversi richiami autobiografici, a partire da un ricovero in clinica psichiatrica, comprendiamo l’eterno valore delle emozioni, vero motore del mondo, evidente antifrasticamente nell’epigrafe scelta da Cavina, che riporta una frase tratta dal celebre “Il mago di Oz” di Lyman Frank Baum: «Hai torto nel volere un cuore. Rende infelice la maggior parte delle persone. Se lo sapessi, ti convinceresti di essere fortunato a non averlo».

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