“Ravenna festival” porta stasera alle 21 nella rotonda Primo maggio di Milano Marittima un vero mito della musica italiana, prima come cantante “beat”, poi come produttrice discografica che ha scoperto e lanciato decine di grandi nomi negli ultimi quarant’anni. È Caterina Caselli, che incontrerà il pubblico in occasione della proiezione del docufilm di Renato De Maria “Una vita. 100 vite”, in cui racconta la sua vita.
Caselli, la realizzazione del film le è stata proposta o è stata una sua idea?
«Era una vaga idea di mio figlio, consolidatasi quando ho incontrato, per altri motivi, Renato De Maria; abbiamo sentito entrambi una forte empatia, credo anche dovuta al fatto che lui ha vissuto molto a Bologna, e abbiamo un’affinità elettiva. Lui mi ha chiesto di guardare il docufilm di Martin Scorsese su Bob Dylan, e che gli sarebbe piaciuto fare qualcosa di simile con me. L’abbiamo realizzato durante il lockdown, e per me è stato facile lasciarmi andare, dimenticando che c’era la telecamera; mi sono trovata a raccontarmi con molta semplicità, come se fossi in un luogo intimo».
Effettivamente nel film lei racconta passaggi dolorosi e privati della sua vita senza alcun pudore.
«Il pudore è venuto dopo, quando l’ho visto realizzato, perché, come dicevo, mentre lo facevamo non mi rendevo conto. Mi sono chiesta se fosse giusto raccontare alcune cose, come la parte sulla scomparsa di mio padre, anche perché mia madre non aveva mai gradito se ne parlasse. Mi sono confrontata con mia sorella su questo, e lei mi ha detto che le cose, adesso che mamma non c’è più, sono cambiate. È strano, perché di quelle cose di famiglia non ero riuscita fino ad allora a parlare nemmeno con lei senza che mi venisse un groppo in gola, cosa che è successa anche durante le riprese, peraltro».
Il film si chiama “Una vita. 100 vite”. Un paio le conosciamo (cantante e produttrice): quali sono le altre 98?
«Abbiamo un po’ esagerato, diciamo (ride, ndr). Nonostante abbia 77 anni e sia una grande lavoratrice, forse 100 sono un po’ troppe».
Ha scoperto e lanciato molti artisti, ma ce n’è uno che ancora oggi non si spiega perché non sia arrivato al successo?
«Ce ne sono diversi, me ne viene in mente in particolare uno, che si chiamava Faust’O (pseudonimo di Fausto Rossi, cantautore che incise alcuni album negli anni Ottanta, ndr). Secondo me era un talento assoluto, ma purtroppo per arrivare il talento non basta; ci vogliono carattere, tenacia e altre doti che tengono a bada l’ansia di essere in prima linea».
Cosa pensa della musica di oggi, rispetto a quella del passato?
«I linguaggi con cui si relazionano i giovani d’oggi sono diversi dal passato, ma anch’io, quando avevo vent’anni, credevo che quelli di trenta fossero vecchi, e anche noi usavamo un linguaggio diverso dagli adulti. Il tempo è galantuomo, e sicuramente ci sono artisti di oggi che rimarranno, anche se adesso non so dire quali. Ci saranno anche tante meteore, ma questo è inevitabile».
Come tutti gli artisti, anche lei ha un forte legame con la Romagna.
«Certamente. Ho percorso la vostra regione in lungo e in largo migliaia di volte, ho cantato al Pineta decine di volte; sono nata a Modena, quindi abbiamo lo stesso cuore. Sono anche molto colpita da quel che è successo, e avrei voluto essere a Campovolo per Italia Loves Romagna, ma avevo già preso l’impegno di essere a Milano marittima con Cristina Mazzavillani, che è una mia grande amica da tempo, e che ringrazio per avermi invitata».
Ricorda qualche aneddoto della sua vita in Romagna?
«Conservo un manifesto che mi ha mandato recentemente Gianni Morandi, che l’ha avuto a sua volta da Celso Valli; pubblicizza una rassegna di un agosto anni Sessanta a Riccione, in cui c’ero io, Morandi e tutte le stelle dell’epoca che si succedevano sera dopo sera. È uno dei miei ricordi più cari. Vivo a Milano dal 1970, ma quando scendo in Romagna, sento che il piede sull’acceleratore diventa più pesante».
Ingresso libero
Chi non ricorda Caterina Caselli, cantante degli anni Sessanta e Settanta con la sua voce da ragazzina, Quella canzone che ha fatto successo e che aveva colpito tutti, lei con i capelli a caschetto e il periodo d’oro della canzone italiana, quella canzone che era già da tempo moderna Beat. Già si scatenavano le nuove generazioni di quell’epoca, il locale più Beat era il Piper di Roma, dove si esibivano i grandi cantanti italiani e stranieri, come gli inglesi i Rocks.
Erano altri tempi e la musica nel lato industriale si vendevano e andava alla grande. Tanti erano gli artisti notevoli e di spessore.
Vi era in questo momento una grande influenza in vari campi, quello artistico e quello di giovani che amavano divertirsi e passare così le serate insieme, magari insieme alla propria ragazza, e così che sfociavano gli amori pieni di sentimenti e di rispetto. Un momento che si ricorderà nel tempo e che chi a come me i 64 anni si ricorderà di questo periodo così florido e così, con la voglia di vivere.