Il processo per il bambino di Castrocaro annegato a Mirabeach: "Lacune nelle procedure dei bagnini"

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La cartolina di una tragedia: al centro la piscina, con alcune decine di persone che si divertono, fra adulti e bambini; da una parte la staccionata posta a protezione del punto più profondo della vasca; dall’altra la “riva”, con la leggera discesa preceduta da scivoli e giochi d’acqua, dalla quale il piccolo Edoardo Bassani si è avventurato verso la morte. Il fermo immagine della telecamera principale puntata sulla “laguna del sol” di Mirabeach resta proiettato per oltre tre ore durante l’udienza del processo che vede imputate sei persone fra direttore del parco, direttrice operativa, responsabile del servizio di salvataggio, bagnino e gli stessi genitori del bimbo di soli 4 anni annegato il 19 giugno 2019. Una decisione presa dal procuratore capo Daniele Barberini, affinché il giudice Natalia Finzi abbia chiaro quale fosse lo stato dei luoghi nei minuti in cui si è consumato il dramma che ha stravolto la vita della famiglia della vittima, originaria di Castrocaro.

Il rapporto della Medicina del lavoro

Il bambino era già nella vasca quando alle 15.36 è iniziata la babydance. L’intrattenimento era fuori dall’acqua, pertanto «non può avere distratto l’addetto al salvataggio», puntualizza Giampiero Mancini, responsabile della Medicina del Lavoro. Nonostante ciò, dalle indagini è emerso che lo spettacolo, previsto ogni giorno, non era indicato nel “manuale di autocontrollo” del parco, «costituendo una non conformità alla normativa, la cui responsabilità viene attribuita al direttore».
E qualora il bagnino si fosse accorto dell’assenza dei genitori - chiede il pm al teste - «che cosa avrebbe dovuto fare?». La risposta è nella relazione della Medicina del lavoro: «Nella procedura del parco non è mai specificato». E’ un passaggio che tira in ballo le responsabilità dei superiori, oltre a quella di madre e padre del piccolo. Perché è vero che a ridosso della piscina «ci sono cartelli che riportano le regole di accesso», tra le quali «l’obbligo di stare a distanza massima di un braccio dai bambini fino ai 5 anni di età»; ma fermo restando il ruolo dei familiari, «il fatto che il datore di lavoro abbia demandato al proprio dipendente il controllo sul rispetto delle regole di vicinanza dei genitori, fa sì che si sia fatto carico di questo onere».

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