Caso Matatia: siamo ancora disposti a tollerare?

Editoriali

Roberto Matatia è ebreo e faentino. Suo zio paterno aveva una villa a Riccione. Era vicino di casa di Mussolini. Ma era ebreo, appunto, e quei vicini divennero presto “scomodi”. Troppo per un regime che cercò in tutti i modi di costringere i Matatia a vendere quella casa. Poi arrivarono le leggi razziali e Auschwitz dove Roberto Matatia perse gran parte della sua famiglia. Una storia che lui stesso ha raccontato in un libro commovente: “I vicini scomodi”.

Succede che una sera di novembre del 2019 - a 81 anni dall’infamia delle Leggi Razziali - Matatia va al cinema nella sua Faenza. Qualcuno dietro di lui comincia a parlare di Hitler e di ebrei. Forse non sanno chi hanno davanti o forse lo sanno benissimo. Fatto sta che all’improvviso sente la frase “cumulo di menzogne orchestrate da ricchi ebrei”.
Parlano, anzi sparlano, della Shoah. Lui si gira. Risponde a muso duro. Gli animi si scaldano mentre la gente osserva. E alla fine si sente dire persino la frase “Si informi meglio”.
Proprio così: “Si informi meglio”, detto a uno che ha avuto la famiglia sterminata ad Auschwitz.
Ora il punto non è provare a immaginare come si sia sentito Matatia l’altra sera al cinema. Non basta. Di fronte a un episodio così grave di antisemitismo il singolo esercizio di solidarietà umana non è più sufficiente. Il punto - a 81 anni dalle Leggi razziali - è capire fino a quando la parte democratica della nostra società sia disposta a tollerare tutto questo in silenzio senza un moto di spontanea Resistenza.
Il caso Segre e poi Biella, Schio, ora Faenza. È ormai evidente che c’è qualcosa e qualcuno in questa Italia che legittima negazionismo, antisemitismo e fascismo a rialzare la testa. Ecco perché difendere Matatia e la memoria della sua famiglia vuol dire soprattutto difendere una idea di comunità e di democrazia.
E per farlo non bisogna mai smettere di presidiare verità e memoria. “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto, o il comunista convinto, ma sono quelle persone per le quali non c’è più differenza tra realtà e finzione, tra vero e falso”.
Lo scriveva Hannah Aarendt. Un’altra che, per dirla come l’anonimo negazionista del cinema, dovrebbe “informarsi meglio”.

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