Ausl Romagna: "Ecco come ripartirà la sanità post pandemia"

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Sono trascorsi poco più di due anni da quell’8 marzo 2020, quando, alle 20.30, a reti unificate, l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, pallido in volto e voce tremante, annunciò al Paese il lockdown totale, la chiusura in casa, fino al 18 maggio successivo. Fu l’inizio della pandemia da Covid, che, dopo qualche settimana, travolse il mondo intero. Gli obitori si riempirono di cadaveri e gli ospedali esplosero di pazienti contagiati dal virus. E per 754 giorni lo stato d’emergenza dettò i tempi della nostra esistenza, tra divieti, restrizioni e obblighi, più o meno rispettati. Fino a ieri, quando il governo ha ufficializzato il ritorno alla normalità. Grazie anche alla vaccinazione di massa ed al conseguente drastico calo di decessi e di ricoveri in terapia intensiva.

Per almeno due anni, però, il settore sanitario è finito in una vera e propria stretta mortale (oltre 500 gli operatori che hanno perso la vita causa Covid, 369 i medici). Dalla quale sta uscendo solo oggi. Con grande difficoltà, visto il numero di contagi ancora alto. «Sono stati due anni durissimi – commenta il direttore generale dell’Ausl Romagna, Tiziano Carradori -. Ma nonostante questo, grazie all’impegno e ai sacrifici di tutto il personale, abbiamo tenuto botta. Anche se abbiamo dovuto concentrare tutte le nostre forze per combattere il virus. Basti pensare che fino ad un mese fa avevamo ancora oltre 150 posti letto occupati da pazienti Covid positivi. Mentre adesso, pian pianino, stiamo recuperando letti e personale medico e infermieristico da destinare ad altre patologie». Insomma, la grande macchina sanitaria della Romagna, dopo aver retto al devastante urto dello tsunami pandemico, adesso è pronta ad accelerare ed incrementare la propria produzione.

Sette presidi ospedalieri

Sette i presidi ospedalieri operativi tra le province di Rimini, Cesena, Forlì e Ravenna; 2900 i posti letto pubblici complessivi; 18 mila dipendenti tra sanitari e amministrativi, di cui 9.500 infermieri circa e 3500 medici circa. Cifre di un certo spessore, che, accostate al numero di prestazioni sanitarie offerte, evidenziano il livello di forte centralità che la Sanità romagnola ricopre nell’intera regione: 16 milioni di prestazioni ambulatoriali, 200 mila ricoveri, 71 mila interventi chirurgici. E solo nel 2021. E su un totale di 1 milione 122 mila abitanti, tra i comuni di Cattolica e Casalborsetti. «Vorrei, però, precisare – sottolinea Carradori – che lo scorso anno abbiamo fatto registrare il 25% di interventi chirurgici in più rispetto al 2019. E questo nonostante il Covid». E nonostante la carenza di almeno 20 anestesisti, ci sarebbe da aggiungere. «Certo – conferma il direttore generale – perché altrimenti avremmo potuto effettuare 16 mila interventi in più».

Il nodo del personale

Carenza di personale sanitario, appunto. Una vera e propria “malattia” tutta italiana, che ci pone dietro ai Paesi europei più avanzati. «Da uno studio effettuato dall’università romana di Tor Vergata – spiega Carradori – emerge che l’Italia è sottodimensionata di almeno 250-300 mila operatori sanitari. Vuol dire, parametrando il dato all’Emilia Romagna, che a livello nazionale vale il 7-8%, qualcosa come 2000 infermieri e 150 medici circa in meno». Meno personale, meno prestazioni offerte. Se poi ci aggiungiamo la pandemia il cortocircuito è compiuto. Ma entriamo in questo mare di numeri che sono le prestazioni accumulate e gli operatori vincolati alle sole cure del virus. «A febbraio avevamo tra le 800 e le 900 unità infermieristiche occupate nei reparti Covid – incalza il direttore generale dell’Ausl Romagna -, ad oggi ne abbiamo recuperate circa 350 che abbiamo subito destinato al potenziamento dei servizi ambulatoriali e alla copertura delle assenze. Un recupero di risorse ordinarie, dunque, anche per la copertura degli interventi chirurgici e dei ricoveri».

Le prestazioni accumulate

Operatori che permetteranno di snellire tutte quelle prestazioni accumulatesi. «Vi do alcuni dati che renderanno meglio l’idea su cos’è accaduto in questi due anni – aggiunge Carradori -: tra marzo e dicembre 2020, ad esempio, si erano accumulate qualcosa come 377 mila prestazioni ambulatoriali. Ebbene, di quella enorme mole, ad oggi, siamo riusciti a rimuoverne il 98%, tra servizi offerti e data della visita fissata. A fine gennaio scorso, poi, avevamo 30 mila interventi chirurgici da effettuare. Sempre causa Covid. E di questi, 20 mila rientravano nella soglia di tempi previsti, con un ritardo cioè fisiologico, mentre 10 mila superavano la soglia-limite, e di questi un migliaio erano di massima priorità: non dovrebbero, cioè, superare i trenta giorni di attesa».

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