Carlo Cracco in Romagna: "Facciamo conoscere i territori"

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Dal lockdown se ne è uscito con un nuovo ristorante in Liguria, una azienda agricola in piena produzione in Romagna, terra natale della moglie Rosa Fanti, un nuovo successo televisivo. Anche da lì lo chef Carlo Cracco, ammirato come una star ma tutt’altro che divo nei modi pacati e attenti, rilancia un tema che gli sta a cuore: far conoscere il patrimonio enogastronomico e i prodotti ancora per molti versi sconosciuti dell’Italia agricola più autentica. Lo ha confermato presenziando in questi giorni alla tappa conclusiva della manifestazione Vini ad arte del Consorzio vini di Romagna a Imola, testimonial di quella che ormai è anche la sua terra.

Dopo il lockdown lei è ripartito con un sacco di progetti nuovi, un nuovo ristorante, l’azienda agricola romagnola in piena attività. Cosa ha voluto dire per lei e i suoi colleghi stare fermi tanto tempo e come vede la situazione della ristorazione oggi?

«La situazione adesso sicuramente è migliorata, sta ripartendo tutto, la gente ha anche voglia di tornare fuori e vivere un po’ di più. Questa pandemia comunque ha lasciato degli strascichi importanti e soprattutto sono emerse tante problematiche che dobbiamo risolvere, bisogna imparare da ciò che è successo. Forse il settore ha capito di avere davvero bisogno di rinnovarsi trovando anche nuove regole e modalità per poter vivere in futuro sempre meglio. In ballo non c’è solo il ristorante, che in quanto tale non è un tema, c’è la cucina italiana stessa, che dobbiamo conoscere meglio, valorizzandone il più possibile il patrimonio».

Lei in più occasioni ha affermato che la cucina italiana è regionale. Nella sua ultima esperienza televisiva Dinner club questo messaggio è passato forte e chiaro.

«Diciamo che in Dinner club abbiamo cercato di valorizzare il territorio più piccolo, quello meno conosciuto, quello a cui spesso passi vicino ma non ci vai e che invece è fatto di tanta umanità, di storie bellissime e fantastiche persone che magari non sono mai uscite dalla loro valle, ma che hanno una forza e una ricchezza incredibile. Il fatto di poter raccontare così il nostro Paese è un privilegio».

La cucina regionale e di famiglia, cosa porta nella cucina di un grande chef internazionale come lei ?

«Porta grandi idee. Noi cuochi siamo dei trasformatori, siamo l’ultimo miglio rispetto a quello che arriva della terra, cucinare e portare in tavola è un ruolo di grande responsabilità perché tocca a noi valorizzare i veri prodotti della terra, il territorio, che è fondamentale, e poi le persone che lo mantengono. Per cui conoscere ancora più a fondo il nostro Paese aiuta a comprendere meglio anche tutta la biodiversità, la complessità del territorio e quindi a rispettarlo».

E in effetti camminando attraverso le regioni e l’Italia si riesce ancora oggi raccontare storie sempre nuove. Non si può dare per scontato che consumatori e clienti conoscano già bene prodotti e territori.

«Non li conosce nessuno. Si racconta davvero una storia nuova, perché pochi ci sono stati alla ricerca dei cibi antichi e veramente tipici dell’Italia ed è un percorso fuori dai grandi tour. A volte è facile scoprire prodotti e posti incredibili, per cui il fatto di poterli raccontare significa far vedere l’Italia e la sua complessità».

Lei adesso non è più solo un trasformatore, ma anche produttore perché proprio qui in Romagna a Santarcangelo ha acquistato una fattoria. Qual è il suo ruolo nell’azienda agricola?

«Ah io sono il rompiscatole, nel senso che ho sempre mille idee in testa. Poi magari su dieci mia moglie Rosa me ne boccia due o tre, così sette vanno avanti e alla fine due si fanno davvero, tutto questo attraverso il confronto, la stima reciproca e il piacere di lavorare per trovare delle idee che valorizzino la terra».

Cosa producete oggi?

«Abbiano 7 ettari di vigna, Sangiovese soprattutto, 500 ulivi, 6/7 ettari di piante da frutto, l’orto, il laghetto e... beh gli animali arriveranno. Ci vuole un attimo di tempo, la campagna richiede un lavoro lungo. Noi continuiamo a vivere a Milano perché lì c’è il ristorante, ma appena possiamo scappiamo in Romagna con i bimbi».

Ormai la Romagna la conosce bene, cosa le piace e come la vede nel settore enogastronomico?

«La Romagna la conosco non dico bene, ma quasi benissimo. Conosco l’entroterra, la costa, la parte più alta da Castel San Pietro in poi, ci sono sempre venuto, ci ho fatto anche tanti anni di vacanze... Sui prodotti, beh io cito sempre la piadina che in base a dove vai cambia di spessore e ti fa proprio la fotografia dell’Italia: campanile che vai sottigliezza che trovi. Io all’inizio non la capivo e dicevo quella è più buona, però gli altri mi dicevano no è più buona l’altra, quella non è quella vera».

Però alla fine, diciamolo, sono buone tutte.

«Già, la ricchezza è proprio quella di averne tante e non un solo prodotto omogeneo, la diversità è il rispetto del territorio».

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