Cantina Rapatà, la sfida bordolese targata Romagna

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C’è Carolina Molducci, la mamma, donna nata con i piedi nella terra ed elemento attorno a cui tutta l’azienda gira. Poi ci sono Maurizio Grilli, maitre dell’hotel Salastrain di St. Moritz, che oltre ad essere l’ideatore è il collante che tiene unita la ciurma, e Paolo Grilli, l’altra mentre, e soprattutto braccio, della cantina. Insieme a loro, a completare il gruppo, l’enologo bolognese Francesco Marchi e l’agronomo, titolare di Vintech srl, Paolo Tumidei, che ha operato nella scelta dei cloni più adatti e ha realizzato la progettazione e messa in opera della cantina di vinificazione, adottando le migliori tecnologie reperibili sul mercato italiano e francese.

“Per fare un albero ci vuole in fiore” recita la bella canzone di Sergio Endrigo e per fare un grande vino ci vuole una grande squadra. E quella appena messa in fila è quella che compone l’azienda “Cantina Rapatà”, incastonata nel cuore della Ravenna contadina, in quella San Pietro in Vincoli che è a soli due passi dalle colline forlivesi, ma che ha un occhio, e un pezzo di anima, comunque rivolto verso il mare. «Cantina Rapatà – raccontano in azienda – nasce da una sfida: creare un vino d’eccellenza nella pianura ravennate». La passione per il vino è quindi un’antica tradizione familiare, inaugurata oltre un secolo fa dal bisnonno Rapatà e portata avanti oggi dai fratelli Maurizio, Paolo, Grazia e Sonia Grilli e, chiaramente, da Carolina.

Storia di paese

«Passione è la nostra parola chiave» dicono i titolari; e non vuole essere la classica frase banale, quanto piuttosto l’espressione di un concetto: che fare vino, per questa famiglia romagnola, non è un mestiere, ma un divertimento. Poi certo un’impresa prospera se il business che c’è dietro è solido e correttamente gestito, ma la passione è l’olio che consente a tutti gli ingranaggi di muoversi all’unisono.

L’avventura è iniziata nel 2002 con la produzione di merlot, cabernet sauvignon e trebbiano.

«Tutto questo nella nostra pianura – raccontano –, un luogo con caratteristiche uniche che sa dare vino di spessore internazionale». “La colpa” è tutta del bisnonno. All’inizio del secolo, fra un balbettio e l’altro, produceva qualche bottiglia di sangiovese per sé e per la sua famiglia. Da lì questa tradizione non si è mai fermata, di padre in figlio, fino ai bisnipoti, «proprio noi». «La tradizione – aggiungono – col tempo è diventata anche capacità di innovare e allora abbiamo messo da parte il classico sangiovese, abbiamo studiato il nostro terreno e le sue caratteristiche e abbiamo puntato su un vino pregiato che nella nostra pianura sa diventare eccellenza: Il vino bordolese».

La sfida

Ecco allora la sfida, cha parte da una domanda precisa: si può ricreare l’anima dei grandi bordolesi nella campagna di Ravenna? Per alcuni potrebbe essere eresie anche solo porlo ad alta voce questo quesito, ma per i Grilli no. Anzi, sul proposito di voler rispondere a quell’interrogativo ci hanno costruito un’azienda, che oggi funziona e vende bottiglie che hanno stimolato l’attenzione anche di alcuni critici internazionali. «Le caratteristiche per noi ci sono tutte – affermano con decisione – sia quelle geografiche, che atmosferiche e di terreno. Per questo abbiamo creato una piccola realtà artigianale, in cui tutti i lavori su uve, mosti e vino vengono fatti a mano seguendo le regole di vinificazione dei piccoli produttori di Bordeaux».

Anche l’altra scommessa su cui ha puntato Cantina Rapatà parla di tradizione, ma in questo caso da rovesciare completamente. «I vitivinicoltori della nostra zona hanno sempre guardato alla quantità prima che alla qualità. Noi vogliamo fare il contrario. Produrre poche bottiglie, ma di “quello buono”». È così che agli amici si sono aggiunti i clienti e ai clienti si sono uniti gli esperti, i sommelier e i critici, che tra un tagliere di salumi e una scodella di squacquerone hanno imparato che anche il vino ravennate, poi, non è mica così male.

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