Cantiere poetico, il bilancio di Fabio Biondi

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L’ultima edizione del Cantiere poetico per Santarcangelo si è appena chiusa. Affluenza ottima, purtroppo a causa della pandemia in tanti sono rimasti fuori, e un bilancio artistico che apre a molte riflessioni. Ne abbiamo parlato col direttore artistico Fabio Biondi.

«Il Cantiere poetico è diventato in pochi anni un progetto consolidato – dice –, che riesce a intercettare i sentimenti e gli sguardi poetici di differenti generazioni. Adulti e ragazzi del nostro tempo che rinnovano o scoprono l’urgenza di entrare in dialogo con le parole portanti, la poesia, la letteratura, le trasformazioni dei linguaggi espressivi e creativi contemporanei. I poeti sono ancora portatori di una materia incandescente, viva e feconda, che può creare gioia, benessere, lenire le ferite».

Concentrando tanti eventi in 6 giorni si è rischiato di creare un sovraffollamento di proposte e fare emergere soprattutto quelle più spettacolari?

«Assolutamente no. Quest’anno il Cantiere poetico ha privilegiato gli incontri di approfondimento di alcune tematiche. Personalmente, non uso mai la parola festival, ma dovendo concentrare tutto in pochi giorni, si può correre questo rischio. Il mio intento è far sì che un paese si trovi a far festa attorno alla poesia, creare un’epifania per mettere in luce una cultura poetica esistente e in continuo movimento».

La Chiamata pubblica ha dimostrato che la poesia ha ancora adepti, anzi, tanti la praticano e molti sono giovani. Da questa constatazione cosa scaturisce per le edizioni future?

«Fin dalla prima edizione ci siamo posti la questione vitale dei terreni creativi e poetici delle nuove generazioni. Dopo le dediche ai grandi poeti di Santarcangelo, ci siamo progressivamente avvicinati alle sirene di altri pensieri poetanti, bambini e ragazzi, con la speranza di far sbocciare dei meravigliosi e fragili fiori. Il Cantiere poetico sta costruendo un grande prato per sostenere e osservare da vicino la crescita dei fiori che parlano».

In particolare, come dare spazio a questa vitalità compositiva?

«I poeti morti possono morire per sempre (a volte per evidenti responsabilità degli stessi eredi), oppure rivivere nelle anime e negli sguardi di nuovi amanti. La memoria del passato e la tradizione del nuovo sono necessari per corroborare il desiderio di accostarsi alla poesia, con la libertà di tradire i maestri e creare nuove matrici poetiche».

Pensa sia necessario dare continuità annuale al Cantiere?

« Santarcangelo città della poesia potrebbe svolgere proprio questo ruolo, tutto l’anno: creare un ponte fra il passato e il futuro, tra il Circolo del giudizio e la ragazza di quattordici anni che quest’anno ha scelto di partecipare alla Chiamata pubblica “La poesia vive a Santarcangelo. Manutenzione quotidiana delle parole”. Il mio ruolo come autore di questo progetto è essere da stimolo affinché si generi nella città un lavoro più ampio e continuativo che può avere base nella Casa della Poesia».

Quest’anno ha approfondito il tema dei maestri e le esperienze portate alla luce, dalla Scuola del Bornaccino alla Scuola di Barbiana, hanno aperto lo sguardo su attività da riscoprire e riaffermare come via per la crescita delle comunità. Quali indicazioni ha ricevuto?

«Semplicemente, che vi è ancora la necessità di rilanciare i valori centrali dell’educazione, della formazione e del rispetto delle differenze, con maestre e maestri che sprigionano passione e competenza, muniti di una sana follia per insegnare a “costruire le piramidi”: provocare interrogativi essenziali per la crescita delle margherite, evitando ripetizione di modelli burocratici svuotati di senso e fuori tempo».

Altro aspetto, le attività dedicate all’infanzia e all’adolescenza, come la giornata dedicata al fenomeno degli “hikikomori”. Cosa è emerso?

«Che la poesia, come tutte le espressioni artistiche, deve accompagnare la crescita dei ragazzi, dare corpo e voce ai giovani sogni. Un giorno, mi piacerebbe che tutti i poeti del mondo uscissero dalle loro case, per sparpagliarsi fra la gente, nelle strade della luce e del buio. Come gli angeli di Wenders, potrebbero ascoltare i pensieri delle persone e suggerire parole da custodire nel tempo e soprattutto comprendere la bellezza e la rivoluzione dell’infanzia e dell’adolescenza, delle generazioni trascurate e ferite che più di altre potrebbero rinascere o perdersi nelle sorgenti della poesia».

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