Calcio C, Nicola Campedelli: "Il Cesena va vissuto al massimo"

Da quella calda e deludente serata di fine estate sono passati 9 anni. Era il 10 settembre 2012 e il Cesena evaporava in casa, trafitto dai colpi del carneade kosovaro Mehmedi, braccio armato di un Novara esagerato a punire gli imbarazzi del Cavalluccio per un 1-4 che aprì la contestazione della curva e chiuse l’avventura da allenatore di Nicola Campedelli. Oggi l’ex centrocampista di Gatteo entrerà per la prima volta al Manuzzi con la tuta del Cesena sulla pelle dopo quel giorno: alle 16.30 è in programma il raduno dell’Under 16 bianconera, affidata proprio a Campedelli, che torna a casa 9 anni dopo l’ultima infausta esperienza.

Campedelli, a Cesena lei è cresciuto, poi è diventato calciatore e infine allenatore. Oggi inizia la sua quarta vita da allenatore del settore giovanile: quali emozioni prova?

«Personalmente sarà un giorno bello e speciale perché indosserò di nuovo la maglia del Cesena dopo nove anni. Poi c’è un gusto particolare perché questo nuovo ruolo mi carica e allo stesso tempo mi incuriosisce».

In che senso?

«Nel senso che conosco bene l’ambiente, che mi ha fatto crescere e diventare grande in passato, ma anche questo mestiere, che ho coltivato negli ultimi nove anni. Però sono molto curioso, carico e stimolato perché non ho mai allenato una squadra giovanile. Sarà un impegno molto gratificante e di grande responsabilità».

Da giovane lei è stato dall’altra parte della barricata. Ripensando al suo percorso, quali sono le lezioni che si porterà dietro e cosa dirà ai suoi ragazzi quando le chiederanno qualche consiglio?

«Dirò che giocare nel Cesena a quest’età è un’opportunità straordinaria, che devono vivere al massimo, senza risparmiarsi. E’ una vetrina che si sono guadagnati e che meritano, ma che va altresì conservata e cavalcata ogni giorno, perché fuori ci sono tantissimi ragazzi che vorrebbero essere al loro posto. Quando avevo 15-16 anni noi riuscivamo a competere con le squadre più forti d’Italia non solo grazie alle nostre qualità, ma anche cavalcando il fortissimo senso di appartenenza, la forza del gruppo, la voglia e la fame. Il Manuzzi era il sogno, un tempio dove ognuno di noi andava ogni domenica per tifare e per sognare. Si faceva qualsiasi cosa per conquistarlo: pensare al Manuzzi ti dava la forza per superare i momenti più difficili. Io a 15-16 anni giocavo poco, ero indietro fisicamente e vedevo poco il campo, ma quando entravo al Manuzzi mi caricavo come una bestia».

Dopo la sfortunata esperienza di 9 anni fa, lei ha allenato a lungo in D, è stato vice di Apolloni a Parma e guidato la Savignanese in Eccellenza. Cosa deve avere di diverso un allenatore del vivaio rispetto a un tecnico di una prima squadra?

«Il mestiere è lo stesso. Si parla di settore giovanile, ma di categorie agonistiche e quindi di atleti veri. Per me cambia pochissimo, dovrò solo avere attenzioni diverse. Prima viene la crescita, poi viene il risultato, che non è prioritario, ma che va ricercato ugualmente».

Cosa le ha lasciato la trafila nel settore giovanile del Cesena?

«Una formazione incredibile, dal punto di vista personale e calcistico. Il vivaio del Cesena è stato una scuola, di vita e di calcio, una palestra incredibile. Ho ancora tanti amici, perché abbiamo vissuto emozioni uniche che restano attaccate alla pelle».

Da giocatore della prima squadra?

«Ricordi unici, perché ho giocato, sono stato apprezzato, ben voluto e coccolato. Il rimpianto sono i risultati, ma dal punto di vista personale giocare al Manuzzi è stato un privilegio».

E da allenatore?

«Un’esperienza veloce, ma anche molto formativa. C’è rammarico per come non è andata, ma non penso di essermi bruciato. Mi auguravo di andare meglio e di fare qualche errore in meno. Non dimentico le bellissime vittorie in Coppa, ma anche le mazzate in campionato».

In questi anni in cosa è cambiato?

«In 9 anni ho maturato più esperienze e ora ho una visione diversa del calcio e di questo lavoro. Non sono invece cambiate la carica e la voglia di fare questo mestiere. Sono orgoglioso del mio percorso e tutte le esperienze che ho fatto mi hanno lasciato sensazioni piacevoli».

Tra nove anni dove si vede?

«Non lo so. Non ho un obiettivo preciso. Voglio godermi questa opportunità, anche perché oggi ci sono centinaia di allenatori e trovare squadre non è facile. Ho smesso di giocare troppo presto e neanche per una mia scelta ma, guardando il lato positivo, in questi anni sono riuscito a fare esperienza e a crescere tantissimo. Ho fatto l’allenatore e il vice, ho aiutato i bambini del mio paese a Gatteo e ora sono pronto per questa avventura che sento tantissimo».

Un’ultima cosa: la spaventano i genitori e/o i procuratori di ragazzini di 15 anni?

«No, come non mi spaventano i social, che ai miei tempi non esistevano. I genitori devono capire che nel percorso di un ragazzo ognuno deve rispettare il proprio ruolo: a casa tocca a loro, a scuola tocca agli insegnanti, al campo tocca a noi. Quindi devono sostenere chi li allena e non cercare alibi o assecondare certe lamentele».

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