Calcio, C, Caturano, il Cesena e i gol: "La mia strada fino a 100"

Salvatore Caturano, dica la verità: da quanto tempo era pronta la maglietta con il numero 100 che ha esibito domenica dopo il gol al Teramo?

«Diciamo da un mese abbondante. L’avevo preparata all’inizio di febbraio, dopo il gol all’Olbia (il 98°, ndr), e l’ho consegnata a Matteo, uno dei nostri magazzinieri, che aveva il compito di portarla sempre in panchina, ma ben nascosta. Solo che nelle 7 partite di febbraio ho segnato un solo gol contro il Grosseto e a un certo punto sembrava una maledizione, specialmente dopo il primo tempo di domenica, quando mi sono mangiato due gol clamorosi».

Tornando a un anno fa, quando proprio di questi tempi stava per rientrare dal doppio infortunio muscolare, avrebbe mai pensato di raggiungere i 100 gol in carriera in così poco tempo?

«No, non l’avrei mai detto. Pensavo esattamente al contrario, cioè al peggio: vedevo tutto negativo, avevo le gambe ingolfate, non riuscivo a giocare sciolto, non stavo bene e avevo sempre paura di farmi male».

In un anno cosa è cambiato?

«Innanzitutto la posizione in campo, che è stata la chiave. Solo a Lecce ho fatto qualche volta l’esterno, ma in carriera io ho sempre fatto il centravanti e da centravanti ho sempre fatto gol. Questo nuovo ruolo che Viali mi ha cucito addosso mi ha dato gioie e dolori: alcune volte ho fatto davvero pena e sono il primo a riconoscerlo, altre volte ho fatto molto bene. Ma, indipendentemente dal rendimento, sono riuscito a segnare già 8 gol. E sono riuscito ad arrivare a 100 senza fare il centravanti. Chi l’avrebbe mai detto?».

Cosa significa segnare 100 gol da professionista?

«E’ un bellissimo traguardo, una vittoria personale esaltante. Questo era l’obiettivo che mi ero posto quando ho cominciato a segnare tanti gol con il Lecce e ho capito che avrei potuto farcela davvero. E poi i 100 gol erano il sogno di mio padre, che mi diceva sempre: “Vedrai che prima o poi festeggerai i 100 gol”. Io gli ho sempre dato del pazzo. Oggi voglio dedicare questo traguardo a lui, che mi guarda e mi sostiene dall’alto: papà è scomparso il 29 luglio 2014, quando avevo appena chiuso la mia esperienza alla Casertana e firmato per il Melfi. Nel mio primo anno senza di lui, ho segnato 18 gol, è stata la mia stagione più prolifica».

Ricorda il primo dei 100 gol?

«Diciamo che ricordo di averlo realizzato con la maglia del Taranto alla mia prima stagione da professionista».

Era il 21 settembre 2008, Real Marcianise-Taranto 0-1, tra i pali della squadra campana c’era Ermanno Fumagalli, l’attuale portiere della Viterbese.

«Sono sincero, non lo ricordo proprio (sorride, ndr)».

Il più bello?

«I due di tacco. Quello di quest’anno contro l’Olbia è al secondo posto, mentre al primo ce n’è uno realizzato con la maglia del Lecce, che ricordo ancora molto bene: tiro-cross di Lepore, una specie di siluro che arriva in area, io mi sono avventato sulla palla per anticipare il difensore, pronto alla respinta, e di tacco l’ho messa nell’angolino».

Qual è il gol che ricorda più volentieri?

«Il primo realizzato in un derby Paganese-Avellino, una partita molto sentita, con mio padre in tribuna. Perdevamo 1-0 e a inizio ripresa segnai di testa, un gol abbastanza simile a quello di domenica. Andai proprio da lui ad esultare, poi ne feci un altro e vincemmo 4-2. Non vi dico il clima che si respirava allo stadio di Pagani».

C’è una rete dal sapore speciale?

«Sì, quella realizzata in un Ascoli-Ternana, il mio unico gol in B. Vincemmo 1-0 e fu una bellissima emozione. Andò così: rimessa laterale, palla per Bellomo largo a destra, dribbling secco e cross rasoterra nell’area piccola, io anticipo il difensore in scivolata e segno».

A Cesena qual è stato il gol più emozionante?

«A livello di emozioni e di brividi dico il colpo di testa contro il Mantova nei play-off, fu una liberazione dopo il calvario. Purtroppo non c’era il pubblico, altrimenti sarebbe stato perfetto».

Per segnare 100 gol ha preso ispirazione da qualche collega del passato?

«Da Ronaldo, il Fenomeno. Quando ero piccolo, anche mio fratello giocava a calcio e per lui esisteva solo Ronaldo. A casa si guardava l’Inter, pur tifando Napoli, e proprio lui mi ha passato l’ossessione per il Fenomeno. L’ho sempre studiato con grande attenzione e ho sempre provato a copiarlo, quando ero più giovane».

Qual è stato l’allenatore che in carriera l’ha aiutata di più nel trovare il gol?

«Padalino a Lecce. Giocavamo 4-3-3 e io facevo la punta centrale. Ricordo quando mi acquistarono dal Melfi, dopo i 18 gol. Mi disse: “Io non prendo altri centravanti, ci sei tu e basta. Non farti male e segna, al resto pensiamo noi”. Mi diede questa responsabilità e una carica incredibile e io lo ripagai».

Anche il feeling con Viali è stato importante in questi due anni.

«Fin dal primo giorno si è instaurato un rapporto umano importante. E’ stato calciatore ad alti livelli e sa entrare nella testa dei calciatori. Si confronta, ascolta, mi ha fatto capitano. Io gli devo tanto, spero di ripagare la fiducia. Magari con un gol importante».

Ora qual è il suo prossimo obiettivo?

«Arrivare in doppia cifra, per raggiungere Mattia e “Piero”. Ma la doppia cifra deve essere condita da un grande finale di stagione del Cesena».

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